Assunta Spina, Amore e Passione a Napoli

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Libraia, Scrittrice e Promoter Culturale

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LA TRAMA IN BREVE


Bellissima popolana, inquieta e determinata, Assunta Spina (Bianca Guaccero) è la protagonista di una storia drammatica in cui alla sua voglia di riscattarsi da una condizione di povertà e di arretratezza si mescola con una rete pericolosa di intrighi.A differenza delle altre lavandaie, Assunta ha imparato a leggere e scrivere grazie all’aiuto della giornalista Matilde Serao (Lina Sastri). Intanto, la sua bellezza accende il desiderio di molti uomini: dal fidanzato marinaio, Salvatore, che successivamente si imbarcherà per l’America, al ricco e violento macellaio Michele Boccadifuoco, al magistrato Federico Funelli che la considera soltanto una breve avventura.
Proprio quando la storia d’amore tra Assunta e il marinaio Salvatore sembra essere al culmine,con la prospettiva del matrimonio, Salvatore rivela ad Assunta che è sua intenzione tentare la fortuna imbarcandosi per l’America,e quindi cerca di convincere anche Assunta a seguirlo.Sulle prime, Assunta si lascia convincere ma poi,complice l’usuraia Donna Carmela, a cui il padre di Assunta doveva rimborsare un prestito, il piano non va a buon fine e Salvatore si imbarca da solo. A questo punto si fa sempre più pressante il corteggiamento di Michele, un macellaio benestante che però ha il difetto di ricorrere troppo spesso al coltello per far valere le sue ragioni. All’inizio Assunta è riluttante ad accettarlo, ma poi la prospettiva di una vita di benessere le fa cambiare idea, e così diventa anche proprietaria di una propria stireria, arrivando ad assumere tre sue colleghe lavandaie. Tutto sembra filare liscio, fino a quando, per aver visto Assunta parlare con un cliente nella propria stireria, Michele la sfregia per la sua gelosia. Per questo, l'uomo viene incriminato e portato in carcere e la madre di lui e l’avvocato premono affinché Assunta faccia una testimonianza “morbida” che possa far avere uno sconto di pena a Michele. Inizialmente rigida sulle sue posizioni, Assunta infine collabora e Michele viene condannato a 17 mesi. C’è però un problema: Michele sta per essere trasferito ad Avellino, e per evitare ciò Assunta e la madre di Michele si rivolgono al cancelliere Funelli che, complice la bellezza di Assunta, cede alla richiesta. Ma è proprio con Funelli che Assunta scopre finalmente la pienezza della passione. Quando il Cancelliere rivela di essere sposato, Assunta è ormai innamorata e non intende cedere il proprio amato a un’altra donna. Nel frattempo, la detenzione di Boccadifuoco volge al termine, anzi, si profila la possibilità di un’amnistia, inizialmente non concessa e quindi, quando Michele torna a casa trova Assunta in attesa del Cancelliere; venutolo a sapere, inizialmente Michele non interviene ma poi, quando Assunta va a trovare Funelli di nascosto nella sua villa, Michele lo accoltella alle spalle. Rimasta sul luogo del delitto, Assunta se ne autoaccusa e soltanto le pressioni del suo avvocato la faranno desistere dal proposito di coprire Michele. Uscita di prigione, Assunta viene nuovamente raggiunta da Michele che, vistosi escluso dalla vita sentimentale di Assunta, decide di ucciderla ma, mentre sta per compiere l’atroce delitto,interviene Salvatore, l’ex fidanzato di Assunta che era stato dato per morto nel naufragio della nave su cui si era imbarcato, e salva Assunta, la quale poi chiama le guardie e fa arrestare Michele. Ritrovata in tal modo la pace nella propria vita, Assunta dichiara a Salvatore il suo proposito di voler cambiare vita radicalmente, diventando maestra.

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LE ORIGINI DELLA STORIA


E' del 1915 la prima edizione cinematografica, interpretata dalla mitica Francesca Bertini con la regia di Gustavo Serena.
Al 1947 risale invece l'Assunta Spina di Mario Mattioli, con Anna Magnani e Eduardo De Filippo. Due grandi film di cui la Titanus ha curato la distribuzione.
A sessant'anni di distanza, Guido Lombardo - realizzando per Titanus e Rai Fiction un progetto fortemente voluto dal padre Goffredo - torna a questo classico del melodramma verista italiano. E Napoli, con le sue strade, i suoi palazzi e le sue piazze si conferma, anche questa volta, protagonista del racconto. Castel Sant'Elmo, la Certosa di San Martino, Castel dell'Ovo, Villa Pierce e Palazzo Donn'Anna a Posillipo, ma anche il bar Gambrinus, la Galleria Principe di Napoli, l'isolotto di Nisida e il Maschio Angioino: con la collaborazione della Film Commission Regione Campania, ogni location è stata scelta e allestita in modo da restituire alla storia la sua natura popolare e mediterranea più autentica.
In questo set di monumenti e vicoli, diretto dal regista Riccardo Milani, si muove una nuova Assunta Spina, una donna modernissima e inquieta, che ha il volto fresco e solare di Bianca Guaccero. Salvatore di Giacomo scrisse il suo dramma durante gli anni in cui lavorò al "Corriere di Napoli", diretto da Matilde Serao.
Le variazioni portate al testo originale sono, nelle intenzioni di Patrizia Carrano che firma soggetto e sceneggiatura, un modo per attualizzare un testo che rischiava - sia per datazione che per tematiche - di sembrare antico. Il riscatto finale di Assunta, come la voglia di emanciparsi dalla condizione di oggetto del desiderio fanno di questa versione televisiva dell’opera di Di Giacomo un prodotto di “straordinaria modernità” - come afferma il direttore di RaiFiction Agostino Saccà, che prosegue: “questo è un grande racconto popolare e l’unico rischio da evitare era cadere nel popolaresco o nei luoghi comuni del napoletanismo”.

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Assunta Spina....Bianca Guaccero
Michele Boccadifuoco ....Michele Palcido
Federico Funelli....Sergio Assisi
Matilde Serao...Lina Sastri
Mario....Nicola Di Pinto
Carmela....Angela Pagano
Salvatore....Giuseppe Zeno
Concetta....Clara Bindi
Cazzillo....Domenico Esposito
Donna Rosa....Imma Piro
Matteo Molinari....Patrizio Rispo



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Regia....Riccardo Milani
Costumi....Elena Del Guerra
Scenografia...Maurizia Narducci
Arredamento....Pierfranco Luscrì
Montaggio....Massimo Quaglia
Direttore della fotografia....Saverio Guarna
Organizzatore generale....Guiduccio Geuna
Direttore di produzione....Marco Greco
Produzione....Guido Lombardo
Soggetto e Sceneggiatura....Patrizia Carrano, Peppe D'Argenzio, Leandro Piccioni



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BIANCA GUACCERO CONFESSA: IL MIO SOGNO E' TORNATORE
di
Sara Gambini



4 ottobre 2006 - Libero News
Ha solo 25 anni ma vanta un curriculum da star navigata. Ha esordito a soli 18 anni, nel 1999, in Terra bruciata a fianco di Michele Placido, Giancarlo Giannini e Raoul Bova e da allora non si è più fermata. È stata chiamata da Veronesi, Oldoini, Damiani. Ha lavorato con mostri sacri come Giannini, appunto, Harvey Keitel, Paul Sorvino, Gerard Depardieu.
Non male per una semplice ragazza di Bitonto (Bari) partita dai concorsi di bellezza regionali e dalla trasmissioni con Gerry Scotti e Pippo Franchi. Ma non così strano se si pensa che Bianca Guaccero ha dalla sua una bellezza mediterranea esplosiva, un viso che "buca" lo schermo e un talento naturale per la recitazione. Tre ingredienti che mescolati insieme le hanno permesso di bruciare le tappe e anziché restare diventare una delle tante showgirl televisive approdare al cinema dalla porta principale.
A breve vestirà i panni di Assunta Spina nell’omonima fiction in onda su Rai Uno l’8 e 9 ottobre. Una sfida importante per la Rai e Titanus che hanno deciso di riportare sullo schermo il dramma napoletano di Salvatoredi Giacomo, dopo i due film storici del 1915 l’uno e del 1947 l’altro, protagonista Anna Magnani. Un vero e proprio feuilleton popolare, protagonista una bella lavandaia napoletana (Assunta) che cerca di affrancarsi dalla povertà e dalla ignoranza ma che rimane prigioniera di un intreccio di passioni, tradimenti e violenze. Una storia che potrebbe sembrare “antica” e fuori tempo ma che, sottolinea il regista Riccardo Milani "risulta invece attuale, poiché pone al centro valori universali come l’amore per la libertà e l’indipendenza. E soprattutto la passione quale motore dell’esistenza". "La stessa passione che - dice Bianca - la accomuna al personaggio di Assunta".

«Assunta mi assomiglia molto. Sia per le origini meridionali, visto che sono pugliese, ma soprattutto per la passione che mette nella sua vita. È una donna che combatte in nome della libertà sia a livello lavorativo che affettivo. E che si lascia travolgere dalle passioni senza paura. Liberandole, lasciandole uscire dal proprio cuore»

Assunta però è napoletana. Ti ha creato problemi recitare con un'altra cadenza?
Ho lavorato molto per studiare l'accento napoletano. Ho rivisto più volte Matrimonio all’italiana con Sofia Loren e Marcello Mastroianni, anche per entrare nell’atmosfera popolare napoletana.

Com'è stato recitare accanto a mostri sacri come Lina Sastri e Michele Placido?
Li devo ringraziare perchè mi hanno aiutata moltissimo. Era come stare in una arena di leoni mentre io osservavo in disparte e imparavo. Per me questo set è stato una grande scuola, a livello lavorativo ma anche di vita.

A cosa stai lavorando?
Sto facendo un lavoro teatrale, Il sogno del principe di Salina: L'ultimo Gattopardo, con Luca Barbareschi. Io sono Angelica. Sono impegnata in tournè fino al 23 dicembre.

Progetti cinematografici?
Magari, li aspetto con molta ansia e trepidazione. Perché il cinema mi manca molto.

Tu hai fatto due film in America. Hai trovato molta differenza rispetto all’Italia?
Ci sono altri mezzi. D'altronde l’America è l’industria del cinema per eccellenza, lì ci sono i miliardi. Però il calore umano che abbiamo qui in Italia è inimitabile, e lo dico con orgoglio. Gli americani studiano molto, sono più preparati per certi versi, ma noi abbiamo un istinto che non si può costruire da nessuna parte e che è la nostra arma vincente.

C’è un regista in particolare con cui vorresti lavorare?
Giuseppe Tornatore, è il sogno della mia vita. Il mio film preferito è Nuovo cinema Paradiso. Vorrei proprio conoscerlo, anche senza farci un film. Solo per dirgli: "Io ti adoro. Mi inginocchio davanti a te..."

Hai recitato con Massimo Ceccherini in Faccia di Picasso. Lo stai seguendo sull’Isola dei Famosi?
No, perché non guardo i reality, non mi piacciono. Ma conoscendolo so che l’ha fatto sicuramente con il cuore, di libera scelta. E gli auguro di vincere. Lui è davvero così come appare in televisione anche al naturale, non finge per niente!

Hai mai incontrato nella vita persone come Federico Funelli, il cancelliere che la tradisce dopo averle fatto credere d'amarla?
Certo che ne ho incontrate, ma non mi sono innamorata. Stavo per caderci, ma poi ho capito. Sai com’è, ormai ho sviluppato un fiuto particolare per gli uomini sbagliati…

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Di
Giulia Nardone


Parlano i protagonisti della fiction Rai sul set del Suor Orsola Benincasa

21 MARZO 2006
"L'età attraverso i nostri trucchi può cambiare vertiginosamente, in meno di due ore si passa dai trenta ai cinquant'anni - afferma Alberto Blasi, truccatore del set di 'Assunta Spina' -, ho lavorato spesso con Michele Placido, oltre che per questo film anche per 'Il sequestro Soffiantini', lì il rapimento durò otto mesi e io in due ore gli dovevo far crescere velocemente la barba".

Alberto Blasi, insieme a Pietro Tenoglio, cura l'immagine e il trucco di Lina Sastri, Michele Placido e Bianca Guaccero. Li abbiamo incontrati al Suor Orsola Benincasa dove si sta girando "Assunta Spina" per la regia di Riccardo Milani.

"I baffi, i capelli e le lunghe barbe le costruisco personalmente - spiega Blasi - non sono posticci, comprati e incollati. Prendo dei capelli veri, che vengono crespati e poi applicati in piccole ciocche, rispettando le curve del viso".

"Noi ricostruiamo un'epoca - chiarisce Pietro Tenoglio - anche attraverso i colori di un trucco. Lo sguardo e l'espressione di una donna del 1910 non è lo stesso di una donna di oggi. La bellezza del terzo millennio passa attraverso brillantina e colori lucidi. Noi in questo film di inizio Novecento usiamo rossetti rigorosamente opachi, non perlati".
Intanto rientra nel camerino Bianca Guaccero, l'Assunta Spina del film. Attorno a lei, in pochi secondi parrucchiera, manicurista, costumista e loro, Blasi e Tenoglio, che l'aiutano a riassumere nel viso un'età passata e lontana, che solo grazie alla magia cinematografica ci appare vicina. Quando la tela bianca della sala cinematografica s'illumina e proietta il film, siamo saliti a bordo della macchina del tempo, i volti s'illuminano e s'ammirano le opere dei pennelli con la cipria.

"ASSUNTA SPINA" TROVA CASA AL SUOR ORSOLA BENINCASA
Di
Caterina Morlunghi


Si gira nell'istituto la nuova fiction Rai con Michele Placido e Lina Sastri
16 Marzo 2006
L'università Suor Orsola Benincasa si trasforma in set televisivo. Per tre giorni, da stamattina fino a sabato prossimo, saranno girate alcune scene di "Assunta Spina" la nuova fiction in due puntate che uscirà quest'autunno sulla Rai. L'opera è prodotta dalla Titanus e diretta da Riccardo Milani. Per l'occasione un piano dell'istituto è stato adibito ad ospedale d'epoca. Le prime scene nell'università sono state girate oggi, alle prime ore del mattino. Tra i protagonisti del film Michele Placido nel ruolo del compagno di Assunta (Michele Boccafuoco), Bianca Guaccero (Assunta Spina), Sergio Assisi (Federico Funelli), Nicola di Pinto (Mario Spina) e Lina Sastri (Matilde Serao). La fiction narra la storia di una giovane lavandaia della sua vita e dei suoi amori.
Nelle quattro scene che saranno girate al Suor Orsola Assunta è ricoverata in ospedale in seguito a un tentato suicidio. La protagonista si è tagliata le vene dopo aver letto dell'affondamento della nave su cui viaggiava l'uomo che amava. In ospedale le viene diagnosticata la polmonite e lei decide di affidarsi al suo amante, Michele, che è però un uomo violento. Il luogo delle riprese è stato scelto dalla scenografa Maurizia Narducci. Il personaggio di Assunta Spina è già stato celebrato in due precedenti film prima nel 1915 e poi nel 1948. In questa nuova versione Michele Placido riveste il ruolo di Michele, parte che fu interpretata prima da Gustavo Serena e poi da Eduardo De Filippo. Anche Bianca Guaccero deve fare i conti con le artiste che hanno rivestito il personaggio come Francesca Bestini e poi Anna Magnani.
"Con questa opera, prodotta dalla casa cinematografica più antica d'Italia, si rende omaggio a un mondo che non esiste più" dice l'aiuto-regista Elvis Frasca.

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ASSUNTA SPINA VISTA DA....
Di
Gregorio Napoli


Punta Critica. Cinematocasa.it
Quando mimavano le scene d’amore, le dive del cinema muto si aggrappavano alle tende. Le tiravano giù, fameliche, trascinando l’amante su robusti divani, destinati comunque a rovinare sul pavimento. Unica eccezione fu Francesca Bestini (Firenze 1892 – Roma 1985), che era figlia d’arte e reagì all’impero d’annunziano recando ai suoi personaggi il profumo del verismo. Così, la sua Assunta Spina (1915) rimbalzò sullo schermo con la linfa veemente del popolo: una lettura “vernacolare”, scrisse qualcuno, benché la proiezione fosse “silenziosa”.
Nella sua Storia il napoletano Roberto Palella suggerisce di non citare superficialmente la “gesticolazione sommario” e l’esuberanza delle attrice in quel tempo. Coloro che lo fanno – aggiungeva con la sua sferzate ironia – “dovrebbero vedere almeno due volte Assunta Spina. ”Il giudizio di Palella calza come un guanto sull’interpretazione appassionata e schietta di Bianca Guaccero nel film televisivo diretto da Riccardo Milani, andato in onda su Raiuno domenica 8 e lunedì 9 2006. Autore di opere cinematografica generose e discontinue, Milani ha variamente trattato il tema dei giovani in lotta (sindacale e sociale, se non di “classe”) realizzando un terzetto di lungometraggi accolti con interessi (Auguri professore; La guerra degli Antò ed Il posto dell’Anima, 1997-2003). Ora, utilizzando una sceneggiatura di Patrizia Carrano, il cineasta “prestato” al piccolo formato elettronico esalta la “scapigliatura” partenopea, proponendo il confronto fra Salvatore Di Giacomo (Napoli, 1860-1934) ed la realtà “lazzara”della lavandaia povera; del macellaio aduso al coltello anche fuori dalla sua beccheria; dall’infanzia orfana abbandonata al vagabondaggio nei vicoli. Nel ruolo di Michele Boccadifuoco, Michele Placido è particolarmente efficace: con la memoria possente di Giovanni Grasso e col ruggito di una gelosia temprata sul modello maiuscolo di Emil Jannings. Una buona pagina di televisione.Talchè, appare altezzoso ed arrogante il ritardo di mezz’ora con cui la prima puntata è stata trasmessa domenica sera. Perché, poi? Per offrire spazio alla bizzosa presentazione di un programma radiofonico che suscitava soltanto l’ilarità dei suoi protagonisti. Matilde Serao ne avrebbe scritto confolgorante anatema sul Giorno, qui impaginato da Lina Sastri conencomiabile ardimento, ammiccando forse al bla bla della stampa contemporanea.

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Edited by LadyAlexandra - 26/1/2008, 16:02
 
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BIOGRAFIA
di
Nevia Buommino


Si avviava a seguire la professione del padre, il giovane Salvatore Di Giacomo, quando in una piovosa mattinata dell’ottobre 1880, rimasto scioccato da una lezione di anatomia, decideva di allontanarsi da quegli ambienti e un grottesco episodio segnava il suo addio alla medicina: risalendo le scalette, che portavano giù ai laboratori, vide scivolare davanti a sé il bidello che teneva sulla testa una «tinozza di membra umane» e nel cadere con lui rotolarono «teste mozze, inseguite da gambe insanguinanti».
L’orrore di quella scena sembra ancora riecheggiare nei primi racconti di impianto e ambientazione tedesca, che il Di Giacomo si accinse a scrivere e a pubblicare sul “Corriere del Mattino”, negli anni in cui per vivere lavorava come correttore di bozze, presso la tipografia editrice di Francesco Giannini, per poi diventare nel 1883 cronista. Ma fu questo il periodo decisivo per lui, perché da un lato fece fondamentali incontri, come quello con Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao, che lo introdussero in più vivi ambienti napoletani, e dall’altro la sua attività di giornalista e fotografo, talora anche di cronaca nera, lo avvicinarono alla Napoli più verace e sofferta con i suoi drammi e miserie emersi nel ventennio postunitario, quando Partenope perse i suoi privilegi di capitale borbonica.
Ed è grazie a questo repertorio di fatti e immagini, tratti da vicoli, carceri, tribunali, ospedali, fonte della sua produzione e in particolare del suo realistico teatro, che Di Giacomo sottrasse la letteratura napoletana al riduttivo bozzetto verista, importandovi l’anima più profonda di una città che presto si identificò nella sua poesia: temi e valori in cui i lettori si potevano riconoscere, come più tardi accadrà con Eduardo De Filippo. Ciò sembra spiegare il vasto consenso di pubblico alle sue prime canzoni, che in quegli anni validi artisti musicavano, quali Mario Costa per la petrarchesca Era de maggio, Enrico De Leva che rese famosa ’E spingole frangese e il rinomato Francesco Paolo Tosti per Marechiare, la cui melodia la rese talmente celebre in tutto il mondo da farla tradurre in più lingue e persino in latino

«Luna cum Claris Maris exstas undis / aestuant pisce furiis amoris: / pura perlabens variat micantes unda colores»
(«Quanno sponta la luna a Marechiare / pure li pisce nce fanno a ll’ammore, / se revoteno ll’onne de lu mare, / pe la priezza cagneno culore»).


Nel 1896 il Di Giacomo ormai trentaseienne smise col giornalismo, lasciando il “Corriere di Napoli”, per cercare - in una sorta di claustrofilia - nel silenzio e nel chiuso delle sale di lettura, in qualità di bibliotecario della Lucchesi Palli (sezione della Biblioteca Nazionale), quella calma che sentiva necessaria alla sua ispirazione e al suo carattere umorale, beneficiando della notorietà che le sue canzoni ormai popolari gli garantivano. Si teneva così lontano da clamori e mode della belle époque partenopea, quasi estraneo alle tendenze letterarie del periodo (col classicismo professorale di Carducci, il decadentismo rurale di Pascoli, lo snervante estetismo di D’Annunzio, che pure a Napoli era di casa), per portare ad estrema perfezione quel dialetto che assorbì nella sua matrice popolare suggestioni ed echi antichi di letteratura alta: dai lirici greci, quale Saffo, all’opera buffa di Paisiello, per passare attraverso le esperienze di Cortese e Basile. Di Giacomo, dunque, realizzava un’originale sintesi che pur nella struttura colta ha l’immediatezza della lingua parlata: era il dialetto «digiacomiano», definito un napoletano italianizzato.
Intanto il successo gli arrideva anche grazie alla pubblicazione di libri di prose (Minuetto settecentesco, Nennella, Mattinate napoletane, Rosa Bellavita) e ai primi lavori teatrali presto rappresentati con buon esito (La Fiera, La Mala Vita, A San Francisco). La poesia digiacomiana, forse perché voce di un popolo che attraverso il canto e la naturale teatralità esprimeva se stesso, rivelò immediatamente una sua intrinseca musicalità, tanto da portare la canzone napoletana - tra fine ‘800 e primo ‘900 - alle proporzioni di vero e proprio fenomeno culturale.
La scelta professionale di bibliotecario segnò profondamente la vita del poeta, non certo per gli oneri che il nuovo lavoro imponeva, ma per un incontro che a lui fu fatale e di certo si rifletté nei temi della sua poesia d’amore. Era il 1905 quando Di Giacomo - ormai reso famoso anche alla critica, grazie ad un saggio rivelatore di Benedetto Croce, che in seguito ne pubblicava in volume le poesie - conobbe una giovane studentessa del Magistero, la quale prese l’abitudine di recarsi alla Lucchesi Palli per conoscere e comprendere da vicino il poeta che aveva scelto di studiare per la sua tesi di diploma. Elisa Avigliano, questo il nome, una ragazza «auta e brunetta» (alta e brunetta) più giovane di lui di 19 anni, fra una frequentazione e l’altra accese tanto di passione il cuore dell’artista da diventare presto l’unico e tormentato amore della sua vita, che solo dopo 11 anni di fidanzamento fu coronato dal matrimonio, il 20 febbraio 1916. Fu una passione piena di sospetti e gelosie dall’una e dall’altra parte («a nera gelusia»), scossa da liti e minacce di separazione, ma sempre struggente e vitale nel cuore di un poeta che nella sua napoletanità fu anche fortemente meteoropatico e condizionato dal morboso affetto materno. «La mia anima» scriveva alla sua Elisa «è sempre come un cielo ora annuvolato, ora luminoso su cui rapidamente si avvicendano sole e nubi e devo ripeterti, ancora una volta, che il buono e il cattivo tempo lo fai unicamente tu», forse preludio alla successiva Marzo:

«Marzo: nu poco chiove / e n’ato ppoco stracqua: / torna a chiovere, schiove, / ride ’o sole cu ll’acqua. / Mo nu cielo celeste, / mo n’aria cupa e nera: / mo d’ ’o vierno ’e tempeste, / mo n’aria ’e primmavera. / N’auciello freddigliuso / aspetta ch’ esce ’o sole: / ncopp’ ’o tturreno nfuso / suspireno ’e vviole … / Catarì… Che buo’ cchiù? / Ntiénneme, core mio! / Marzo, tu ’o ssaie, si’ tu, / e st’auciello songo io».


Gli alti e bassi di questa storia furono senz’altro fecondi per alimentare la vena poetica di Di Giacomo, anche quando degenerano in misogine affermazioni come ne Le bevitrici di sangue:

«Nun ridere! Li femmene / so ’nfame tutte quante, / e pure quanno rideno / metteno ncroce ’e sante».

Ma proprio questa caleidoscopica umanità di emozioni, percepite alla luce del sole, al chiarore della luna, nel tremolio del mare, fra le eterne stagioni che descrisse, l’amore per la madre, per la donna - amore corrisposto, amore lontano, amore deluso, amore «addurmuto» e poi «scetato» - resero la sua produzione, sia pur così aderente alla realtà geografica di quei tempi, intensamente universale e cosmopolita, tanto che il critico Gianfranco Contini nel 1968 considerò la voce del Di Giacomo «in assoluto una delle più poetiche del suo tempo», permettendo alla poesia in dialetto di tornare qualitativamente, come già per il Belli a Roma, competitiva con quella in lingua. Dunque sarebbe riduttivo parlare di poesia popolare per un autore che seppure attinse idee e suggestioni dalla sua città, la elevò nell’ambito di una stagione felicemente creativa e alta per letterati e musicisti partenopei, tragicamente interrotta dalla prima guerra mondiale. Osservava a proposito Pasquale Scialò: «Di Giacomo rappresenta il ceto intellettuale che cerca nel vernacolo una verginità espressiva diversa da quella dei moduli stantii degli accademici». Mentre, nel 1911, Croce scriveva «pel Di Giacomo l’uso del dialetto (del particolare dialetto digiacomiano) è stato la forma spontanea e necessaria in cui si è espressa la sua anima e quasi il mezzo di liberazione della sua poesia dalla “letteratura” insidiatrice» e «la poesia (la vera e alta poesia) dialettale napoletana coincide del tutto con la persona del Di Giacomo, il quale non ha in essa né predecessori né (finora almeno) successori». Ma il Di Giacomo protagonista della svolta dialettale del Novecento avrebbe poi rappresentato un modello per tutta la successiva produzione neodialettale meridionale, e non solo.
Tuttavia, il grande amore del poeta, il tema principale della sua produzione, fu senza dubbio Napoli. Quella città che ancora non conosceva gli orrori della Grande Guerra e che profumava dei suoi innumeri giardini, dei cibi saporosi delle antiche trattorie, nei vicoli sospesi tra cielo e mare, dove si ascoltavano le ‘voci’ gridate dei mestieri e i canti melanconici degli innamorati. Quando egli si spense nella notte tra il 4 e il 5 aprile 1934 nella sua casa di San Pasquale a Chiaia, Napoli perse uno dei suoi maggiori interpreti, che nel ’29, al culmine del successo, era stato perfino nominato Accademico d’Italia. Personalità versatile, il Di Giacomo poeta storico letterato studioso giornalista bibliotecario lasciava un repertorio di immagini, parole e musiche che condensavano tradizioni, voci e sentimenti di una “Napoli nobilissima” di cui egli forse seppe tessere come pochi gli elogi, attraverso l’infinito amore che la sua gente sempre gli mostrò e ch’egli ricambiò, spesso passeggiando fra quelle viuzze dove si fermava ad osservare il popolo con la sua spettacolare e congenita teatralità. E di Napoli l’artista vagheggiava nostalgicamente soprattutto il glorioso passato settecentesco, la sua pittura lussureggiante, le armonie musicali e il melodramma di Metastasio, il vivace teatro, negli anni in cui la città aveva il gran respiro di capitale europea, accanto a Parigi, Vienna, Londra. Ha scritto giustamente di lui Max Vajro: «Di Giacomo ha scritto di Napoli tutto quello che un poeta poteva, componendo il più affascinante e dolente ritratto della città: cronache di tribunale, scene di silenziosa miseria, amori furenti e abbandoni, rappresentazioni dell’amara vita dei fondaci, ricostruzioni di scene amabili del settecento… la turpitudine della malavita» ma anche «l’eleganza della classicità napoletana». È come se egli avesse dato voce e solennità alla secolare poesia della sua città, non a caso raggiungendo le massime espressioni in quelle che furono da sempre le sue intrinseche forme d’arte: la canzone e il teatro.

«Nu pianefforte ’e notte / sona luntanamente, / e ’a museca se sente / pe ll’aria suspirà. / È ll’una: dorme ’o vico / ncopp’ a sta nonna nonna / ’e nu mutivo antico / ’e tanto tiempo fa. / Dio, quanta stelle ncielo! / Che luna! E c’ aria doce! / Quanto na bella voce / vurria sentì cantà! / Ma sulitario e lento / more ’o mutivo antico; / se fa cchiù cupo ’o vico / dint’ a ll’oscurità. / L’anema mia surtanto / rummane a sta fenesta. / Aspetta ancora. E resta, / ncantannose, a penzà».

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Anna Magnani ... Assunta Spina
Eduardo De Filippo ... Michele Boccadifuoco
Antonio Centa ... Federigo Funelli
Maria Donini ... Ernestina
Aldo Bufi Landi ... Marcello Flaiano (as Aldo Landi)
Margherita Pisani ... DonnaConcetta
Giacomo Furia ... Tittariello
Carla Ferraioli ... Tina Bouquet
Ugo D'Alessio ... Epanimonda Pesce
Aldo Giuffrè ... Don Marcusio, la guardia
Titina De Filippo ... Emilia Forcinelli
Luigi Amato ... (personaggio sconosciuto)
Anita Angius ... (personaggio sconosciuto)
Clara Bindi ... Una lavorante alla stireria
Pietro Carloni ... Il presidente del tribunale
Eugenio Maggi ... (personaggio sconosciuto)
Beniamino Maggio ... Il venditore di biglietti della lotteria
Anna Petrolani ... (personaggio sconosciuto)
Gennaro Pisano ... Il cancelliere del tribunale (uncredited)
Rosita Pisano ... Una lavorante all stireria

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NB: Le due foto che vedete qui sono oggi una vera rarità. E'molto difficile trovarle su internet, a meno che non siano coperte da copyright. Una chicca che forse non sfuggirà al vostro occhio critico: la seconda immagine ritrae il Cancelliere Funelli, adagiato sulle scale di un vicolo che probabilmente conduceva alla casa di Assunta. Si può riconoscere benissimo la grande Anna Magnani circondata dalle guardie mentre si dichiara colpevole dell'assassinio.
Nella versione del 2006, Federico (oltre a non essere di origine spagnola) muore accoltellato da Michele Boccadifuoco all'interno della sua stessa proprietà.

Produzione.....Paolo Frascá, Vittorio Mottini
Musiche originali...Renzo Rossellini
Cinematografia....Gábor Pogány
Film editing....Fernando Tropea
Allestimento set....Vincenzo Trapani
Disegno costumi....Michele Contessa, Gino Sensani
Production management....Paolo Frascá
Assistente alla poduzione....Augusto Carloni, Leo Cattozzo
Set designer....Piero Filippone
Suono....Ovidio Del Grande
Camera.... Bitto Albertini
ALTRI CREDITI:
Federico del Fauro .... production secretary
Virginia Genesi Cufaro .... laboratory technician


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CARO RICORDO DEGLI ANNI MIEI TESTARDI


Nel periodo mio più acceso del mio amore per il teatro, quando la testardaggine della giovinezza, quella dei 14, 15 anni, diventa un peso determinante per quel che potrà essere di bene o di male il futuro dell’uomo, per le strade di Napoli, vicoli e vicoletti compresi, camminavo giornate intere senza una meta fissa, senza consultare l’orologio perché non lo possedevo... Camminavo così, come a caso, ma con l’intima speranza di salutare Ernesto Murolo in carrozzella, proveniente dalla sua abitazione di San Pasquale a Chiaia. Spesso lo pizzicavo a via Calabritto o a Piazza dei Martiri, ma il più delle volte a Toledo. Se riuscivo a farmi notare, m’invitava a raggiungerlo. Io non aspettavo altro: «Arrivo!». Il traffico a quei tempi era ragionevole; attraversavo la strada in un lampo, un salto, e mi trovavo accanto all’autore di Pusilleco addiruso, la canzone che a buon diritto mise il giovane scrittore all’altezza dei poeti più amati e stimati dal popolo e dalla critica di Napoli. In seguito fu uno dei protagonisti del Teatro d’Arte Napoletano, e anche in quel campo fece centro: basterebbe citare l’atto unico Signorine, che ebbe un travolgente successo con duecento repliche di esauriti al Teatro Nuovo. Ora parla Ernesto Murolo, durante la nostra passeggiata in carrozzella: «Eduardié, l’impresario del Teatro Nuovo si comprò Signorine, dandomi un con penso di 200 lire, una tantum: tu capisci l’affare che ho fatto?».
Eduardo Nicolardi, l’autore di Voce ‘e notte, lo andavo a trovare nel foyer del Salone Margherita, alla Galleria Umberto, dove aveva il posto di lavoro. Scriveva articoli di terza pagina per il Mattino e dello stesso giornale fu critico teatrale. «Caro don Eduardo, buon giorno!».
Risposta immancabile: «Gué, Eduardié, asséttate».
Poggiava la penna sul calamaio, piegava la sedia all’indietro per poi girarsi verso di me, e l’insieme di quei gesti significava che m’accoglieva volentieri, e che una mezz’oretta di riposo non avrebbe guastato il suo lavoro. «Eduardié, che si dice? Col lavoro, che fai?». «Don Eduà, diciamo: che penso di fare... ».
Quella mezz’ora di conversazione mi lasciava pago per una, due settimane, poi tornavo da lui per arricchire sempre più il mio modesto bagaglio di cultura teatrale. Rocco Galdieri, in arte Rambaldo, lo conobbi che avevo solo otto anni. Egli frequentava quotidianamente la casa di Eduardo Scarpetta, allorché i due eminenti uomini di teatro decisero di scrivere insieme L’Ommo che vola!, una grande rivista di attualità che andò in scena nel 1909 al Teatro Bellini. La collaborazione Rambaldo-Scarpetta continuò l’anno seguente con Cielo e Terra, e ancora nel 1911-12 con Babilonia e nel 1912-1 3 con Babilonia com’era e com’é. Avevo raggiunto i tredici anni e mezzo, mancava poco per varcare la soglia degli anni «testardi», ma mi sentivo quasi maturo, e cosciente di aver saputo assorbire da quei due grandi uomini di teatro gli elementi indispensabili che mi avrebbero dato la quasi certezza di potere intraprendere con successo la via del teatro.
Varcata quella benedetta soglia, pensai immediatamente che tempo da perdere non ce n’era: cominciai a dare la caccia ai grossi nomi del mondo del teatro in genere. Il primo fra tutti che gettò uno sguardo di comprensione e simpatia sui miei quindici anni appena compiuti, fu Libero Bovio: mi volle subito bene, e io a lui. La sua amicizia mi fu di grande incoraggiamento durante le mie esperienze. Avvicinai poi Roberto Bracco, Ferdinando Russo, Capurro, Viviani, Chiurazzi, Costagliola, E.A. Mario, Michele Galdieri e fui amico fraterno di Lorenzo Giusso. Purtroppo, l’unico nome che non mi è dato d’inserire tra gli scrittori che conobbi personalmente è quello di Salvatore Di Giacomo. Colpa mia? Colpa sua? Di nessuno dei due.
Fu colpevole la dannata polemica che si accese, e che durò per anni, fra Eduardo Scarpetta e il gruppo di scrittori dialettali che si formò in difesa del Teatro d’arte, di cui Di Giacomo fu il più autorevole e accanito assertore.
Guai a me, se mi fossi avvicinato al grande poeta! La controversia tra i due famosi litiganti mi fece vivere giorni di amarissimo smarrimento. Si trattava di una scelta: o mio padre o Di Giacomo. L’ammirazione e il rispetto che mi legavano a mio padre mi facevano mettere da parte Di Giacomo, mentre il fascino che esercitava su di me la poesia del Di Giacomo mi spingeva verso una via traversa.., e a conti fatti, me la cavai bene.
I gruppi degli amatori del teatro digiacomiano reclutavano a dozzine i ragazzi di ogni quartiere di Napoli e provincia, ed erano numerosissimi, centinaia. Uno di questi gruppi fu messo su da Michele Mercurio, discendente della prolifera famiglia Mercurio, che a sua volta dettava legge nel campo della tecnica di palcoscenico; da lui mi venne affidato il ruolo di Epaminonda Pesce, che appare nel solo primo atto di Assunta Spina, con in più l’obbligo di presentarmi alla ribalta, a fine spettacolo, per declamare qualche poesia del poeta.
Dopo circa due mesi di prove, l’unica rappresentazione di Assunta Spina, con relativa declamazione di poesie a fine recita, ebbe luogo in uno stanzone d’un appartamento al terzo piano di un antico palazzo sito in via Pietro Colletta, dove abitava un certo De Bonis, il quale si guadagnava la vita come suggeritore e come affittuario dell’improvvisato teatrino, messo su alla buona. Lo stanzone, però, non riuscì mai ad assumere l’aspetto d’un vero teatro, sebbene vi fosse un tendone che fungeva da sipario, una pedana alta una settantina di centimetri, due quinte a destra e due a sinistra per le entrate e le uscite dei personaggi, e una boccascena di tela di sacco tinta di rosso, che segnava il limite tra il «palcoscenico» e lo spazio per il pubblico.
I frequentatori del teatrino di De Bonis, saranno stati non più di cinquanta o sessanta persone, erano gli inquilini del palazzo, infatti i manifesti che annunciavano gli spettacoli si attaccavano soltanto per le scale, dal primo al quarto piano... Nella sala non c’erano né panche né sedie, questo gli inquilini lo sapevano, e così ognuno di loro si portava dietro una sedia da casa.
Questo fu il mio primo incontro clandestino con il grande don Salvatore. Gli fui accanto per circa sessanta giorni di prove, e lo evocai orgogliosamente durante la rappresentazione di Assunta Spina e, mentre declamavo, a fine recita, Lassammo fa’ a Ddio.
Quell’unico spettacolo domenicale dato nello stanzone di casa De Bonis, è rimasto uno dei ricordi più commoventi della mia lunga vita di teatro. Difficilmente si può provare un’emozione più sconvolgente di quella che io provai quando, dopo gli applausi rivolti all’autore e a noi ragazzi, arrivò fino a me il vocio degli inquilini che commentavano lo spettacolo. Ancora qualche applauso, e tra il rumore dello spostamento delle sedie che venivano riportate via, mi parve di riconoscere la voce di don Salvatore che diceva: «Eduardié, bravo! Si l’appura pàtete, staje fisco...»
Caro don Salvatore, posso dirvi sinceramente che la vostra stretta di mano non mi è mai mancata; di questo vi sono grato e mi permetto di chiedervi un abbraccio... Vostro
Eduardo De Filippo

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VERSIONE TEATRALE DEL 1909


Il dramma ricavato da una novella digiacominiana, prima di giungere sul grande schermo nel 1915, calcò le tavole teatrali, e fu rappresentato il 27 Marzo del 1909 al teatro Nuovo di Napoli, con l’interpretazione di Adelina Magnetti. Trattasi di un classico melodramma verista italiano, storicamente fa sì che l’opera rientra appieno nella cultura del Teatro Verista, un teatro basato sulle grandi passioni elementari, sulla gelosia, sugli inganni e tradimenti, sul senso del peccato e sul versante pessimista dove “il popolano emarginato è succube di un oscuro destino” al quale difficilmente riesce a sfuggire. (Alessandro D’Amico, in Il teatro verista e il grande attore).

VERSIONE CINEMATOGRAFICA DEL 1915

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Con Francesca Bertini, Gustavo Serena, Carlo Benetti, Alberto Albertini, Antonio Cruicchi, Amelia Cipriani, Alberto Collo.
Ad inizio secolo scorso il cinema aveva portato perplessità e in taluni casi entusiasmi tra letterati e uomini di cultura. Viene subito alla mente Pirandello e i suoi Quaderni di Serafino Gubbio (o Si gira) ma quello che si vuole fare in questo articolo è restringere il campo, portando esempi di intellettuali che furono attivamente implicati nella nascente industria filmica, scrivendo soggetti e testi. L’opera cinematografica più celebre scritta da Salvatore Di Giacomo è sicuramente Assunta Spina (1915), adattata dal suo stesso dramma, per la regia di Gustavo Serana e la produzione della Caesar Film. Protagonista nel ruolo di Assunta è Francesca Bertini, diva italiana del muto per eccellenza. Prima di intraprendere la carriera cinematografica, Elena Vitello - in arte Francesca Bertini - aveva già interpretato questo dramma al Teatro Nuovo di Napoli, nel ruolo di una figurante. Promossa a prima donna, sul grande schermo, la Bertini si entusiasmò a tal punto da intervenire addirittura sulla messa in scena del film. Ne dà testimonianza il regista del film, Gustavo Serena: “E chi poteva fermarla? Organizzava, comandava, spostava le comparse, il punto di vista, l’angolazione della macchina da presa; e se non era convinta di una certa scena, pretendeva di rifarla secondo le sue vedute”.
Nell’adattamento per lo schermo, Di Giacomo modifica in parte lo svolgimento dell’azione aggiungendo una prima parte, che costituisce una sorta di prologo a ciò che avviene nel dramma teatrale.

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Tutto il materiale fotografico e biografico presente in queste pagine appartiene di diritto ad ogni singolo proprietario. E'stato operato un lungo lavoro di ricerca, per cui se desiderato postarlo altrove chiedete permesso a me e ricordatevi d'inserire i credits. Buona lettura.
Lady Alexandra


Edited by LadyAlexandra - 8/12/2007, 12:46
 
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1 replies since 8/12/2007, 10:59   10100 views
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