Imperia la Grande Cortigiana, Intrighi e veleni nella Roma dei Borgia

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icon12  view post Posted on 28/12/2007, 19:00
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Libraia, Scrittrice e Promoter Culturale

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Corte dei Borgia

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SPETTACOLI E CULTURA
Di
Alssandra Vitali

ROMA, 20 GENNAIO 2005 - Non c'è che dire, le scollature generose di foggia rinascimentale le donano. E fra saloni affrescati e giardini si muove come se avesse sempre frequentato sfarzose magioni. Forse perché interpretare Imperia, la grande cortigiana per Manuela Arcuri è stato "realizzare un sogno di bambina, quando giocavo alla principessa fra carrozze e castelli". Il sogno della 28enne attrice di Latina si avvera giovedì 20 gennaio nello spazio del piccolo schermo, con il film diretto da Pier Francesco Pingitore in onda su Canale 5 alle 21. La vicenda, ambientata nella Roma dei Borgia, della celebre cortigiana Imperia, amante del ricchissimo banchiere e mecenate Agostino Chigi, figlia a sua volta di una cortigiana e di un ignoto esponente della curia pontificia, morta suicida per amore (di un altro), benedetta in articulo mortis dal papa guerriero Giulio II che acconsentì alla sua sepoltura nientemeno che in una cappella della chiesa di San Gregorio.
"Il copione mi ha conquistata subito" spiega la protagonista durante la presentazione del film a Roma. La "sua" Imperia è una donna "ironica, vera, spontanea, che nonostante una vita di feste e banchetti non perde la sua personalità, e dopo aver conosciuto l'amore come gioco si innamora davvero e sceglie la morte come estremo atto d'amore". Bella e capace di sedurre l'elite romana con le sue conoscenze d'arte e di vita, Imperia si innamora di Angelo Del Bufalo, spadaccino e affascinante, un amore complicato da intrighi, omicidi, tradimenti, beffe. Una storia "tutta documentata - dice Pingitore - ambientata nella Roma del Cinquecento dove le cortigiane erano un decimo della popolazione", girata in alcune località "che sono dei set naturali che gli americani se li sognano", da Villa Lante di Bagnaia al Palazzo Farnese di Caprarola, dal Palazzo Ducale di Giove, in Umbria, al quartiere medievale di San Pellegrino a Viterbo.
Scritto e diretto dal patron del Bagaglino, Imperia non rinuncia a qualche perla ispirata alla comicità ruspante dello show teatral-televisivo (complice la presenza di Oreste Lionello nei panni di Pietro Aretino). Pingitore racconta di aver soddisfatto la propria passione per la storia e i film in costume, sentimento antico "nato quando vidi da bambino La cena delle beffe". Un genere "che l'Italia ha relegato in serie B e che invece all'estero è stato frequentato con attenzione, da I tre moschettieri con Lana Turner e Gene Kelly fino a Shakespeare in Love passando per Elizabeth e tanti altri".
Per Manuela Arcuri, al momento ancora in tourné (fino alla fine di gennaio) con Pretty Woman, il sogno è quello di un musical, "magari Cats", perché il teatro è altro rispetto alla tv, "Senti il cuore del pubblico". Per il momento, in programma c'è una fiction in due puntate per RaiUno, Regina di fiori. E continua anche, però, ad essere la regina del gossip, fotografata con fidanzati veri e presunti dai settimanali più diffusi. Nessun timore di sovraesposizione? "Inutile nascondersi, sono un personaggio pubblico, e la gente vuole sapere anche i fatti miei, oltre a vedermi quando lavoro. In fondo, sono giovane, mi diverto, fa parte della popolarità. Per ora, va bene così".

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LA TRAMA IN BREVE

Ai primi del ‘500 Roma è la città dei Borgia e delle cortigiane. La più ammirata è Imperia (Manuela Arcuri), l’amante del ricco banchiere Agostino Chigi (Paolo Triestino) e proprietaria di una dimora vicina a Castel Sant’Angelo talmente elegante da scomodare le più illustri personalità del tempo.
C’è un grande fermento in città, qualcuno ha ucciso il Duca di Gandia, Juan Borgia.
I sospetti ricadono sul fratello della vittima – il Valentino- (Sergio Assisi) ma Imperia vive serenamente il lusso di una vita agiata. Un ballo sfarzoso cambia il suo destino: gli occhi di Imperia si posano su Angelo del Bufalo (Filippo Valle) un uomo misterioso e affascinante che, assieme all’amore per Imperia, inizierà una lotta personale contro le angherie del Valentino.
La storia dei due amanti si animerà tra mille agguati e combattimenti spettacolari, attraverso un susseguirsi di colpi di scena.
Ma non sempre le leggendarie storie d’amore vivono il loro lieto fine.
Non sempre la passione vince, a volte le differenze di ceto cedono il passo di fronte alla realtà.
Angelo, in fin di vita, verrà soccorso e salvato da una nobildonna che poi lo sposerà.
Per questo Imperia disperata, e non rassegnata al suo destino di cortigiana, sceglierà il suicidio.

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(1481-1512)

Imperia, nome d'arte della bella romana Lucrezia, a sua volta figlia di una cortigiana e di un esponente tanto importante quanto anonimo della curia pontificia. Cresciuta e vissuta nella Roma del Rinascimento, fu una delle donne più adulate della città eterna, non solo per la sua incredibile bellezza, ma anche per la sua cultura. Pur non essendo rimasta traccia dei suoi versi, i letterati a lei contemporanei ne elogiarono la grazia compositiva. Oggetto delle passioni di molti umanisti e di alcuni uomini di chiesa del suo tempo, fu detta Imperia la Divina. Viene oggi ricordata con ardore da storici e romanzieri, amata da Angelo Del Bufalo e da Agostino Chigi. Alla sua Corte si adunavano poeti e letterati e convenivano uomini quali il Sadoleto, il Campani, il Colocci. Ebbe per maestro Domenico Campana detto Strascino. Aretino disse di lei: «Lucrezia Porzia pare un Tullio, e sa tutto il Petrarca e il Boccaccio a memoria ed infiniti e bei versi di Virgilio, d'Orazio e d'Ovidio e di molti altri autori».
Insomma, fu una donna estremamente popolare ed amatissima, tanto che alla sua morte, sopraggiunta dopo due giorni di sofferenze atroci, causate dal proprio avvelenamento volontario, venne assolta e spirò con la benedizione di Papa Giulio II.
Il Santo Pontefice, inoltre, la fece seppellire in una cappella della Chiesa di San Gregorio. Agostino Chigi, ricchissimo banchiere e mecenate di Imperia, ordinò che venisse eretto un monumento alla sua bellezza. Nel testamento, Imperia lasciò tutti i suoi averi alla sua bambina Lucrezia che faceva educare in un convento.

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Manuela Arcuri...Imperia
Filippo Valle...Angelo Del Bufalo
Sergio Assisi...Cesare Borgia, Duca Valentino
Paolo Triestino....Banchiere Agostino Chigi
Isabella Orsini...Fiammetta Bianchini, la Cortigiana
Oreste Lionello....Pietro Aretino
Chiara Claudi....Lucrezia Borgia
Luca Bastianello....Duca Alfonso di Bisceglie
Antonio Giuliani...Lo strascino
Giuseppe De Rosa....Papa Alessadro VI, Rodrigo Borgia
Pier Maria Cecchini....Cardinale Giuliano Della Rovere
Stefano Antonucci....Ambasciatore di Spagna
Cristina Ascani....Nanna, confidente di Imperia
Renato Cortesi....Duca Carafa, ambasciatore del Re di Napoli
Francesca Lancini....Madonna Francesca Carafa
Adriana Russo....Nutrice di Francesca, a servizio dei Carafa
Valter Toschi.....Il Gheppio, sgherro del Valentino
Laura Troschel....Syria, la cartomante a servizio di Imperia


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Regia, Soggetto e Sceneggiatura....Pier Francesco Pingitore
Organizzatore Generale....Paolo Tassara
Scenografie....Maurizio Tognolini
Fonico di presa diretta....Riccardo Palmieri
Costumi....Graziella Pera
Coreografie....Evelyn Hanach
Fotografia....Marco Cristiani
Musiche....Piero e Francesco Pintucci
Montaggio....Alberto Mariani
Produttore Esecutivo....Mario Coppatelli
Delegato alla Produzione R.T.I....Tina Pellegrino
Story Editor....Costantino Margiotta
Produzione realizzata da ....Alberto Tarallo
Casa produttrice....Janus International


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Uno dei fatti più notevoli al principio sedicesimo secolo è senza dubbio l'apparire della cortigiana; figura degna di considerazione e di esame non ebbe pur anco uno storico che di lei si occupasse scrupolosamente e gelosamente, e, diseppellendo dalle biblioteche ed archivii i numerosi documenti che la riguardano, dasse compiuta questa pagina di storia che non è tra le ultime del nostro rinascimento. Il nome di cortigiana si collega certamente alla storia dell'umanesimo, ma quando, dove e come ebbe principio?
Tale quesito non ha ancora risposta sicura.
Lo sviluppo della cortigiana prodotto dalla rivoluzione sociale che si svolgeva nel rinascimento, adattato al nuovo regime di vita che rese allora meno dure e servili le leggi sul costume, viene certamente a smentire l'asserzione che il cinquecento fosse l'età più feconda di turpi vizii, e l'amor patico, nato nelle epoche di maggior coltura e diffuso su larga scala nel medio evo, trova a combatterlo questo sviluppo della cortigianeria e le leggi civili di quasi tutti gli stati italiani, mentre dal pergamo tuona aspra e minacciosa la voce di S.Bernardino e del Savonarola; l'Ariosto stesso che non ne fu immune dichiara che nel 1518 il vizio si restringeva a pochi umanisti. Ed allora si disputa sulla teorica dell'amore che ha forti e strenui campioni; dell'amore libero tra liberi discorre Speron Speroni nel Dialogo d'amore ove introduce a parlare la Tullia d'Aragona e Bernardo Tasso, innamorati, e costretti a separarsi dovendo quest'ultimo andare a Salerno; dell'amor platonico, primi il Bembo e il Castiglione, il Piccolomini poi, che lo definisce «un desiderio di possedere con perfetta unione l'animo bello della cosa amata» contrastando all'amore che anela il solo possesso del corpo. All'amore assolutamente libero, per il quale era inutile insistere dopo il lavorìo dell'Aretino, sono infirmate quasi tutte le liriche di cortigiane del cinquecento; rispecchiano quelle l'ambiente nel quale furono create, queste la cortigianeria nei luoghi ove la coltura era più vasta e diffusa: dalla corte pontificia a quella dei Medici, da Venezia a Siena.

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Il rinascimento, rotti gli argini che opponevansi nel medio evo alla coltura della donna, condusse a due estremi sostanzialmente diversi che si disputarono il campo per quasi tutto il secolo decimosesto: la coltura seria e positiva da un lato, la licenza dall'altro: prodotta quest'ultima da male intesa libertà, condusse poi per inevitabile antitesi all'educazione claustrale. Di tale antitesi tramandarono documenti il Castiglione e il Garzoni; il primo, attribuendo al Bembo la dichiarazione poetica dell'amore e trasportando il lettore nella Corte di Urbino, ove le lettere e le arti erano tradizione, appalesa per bocca di Giuliano de' Medici, la cui consorte Filiberta fu cantata modello di femminili virtù, che

«La coltura della donna deve rassomigliare a quella dell'uomo, cui ella è pari. Nei diversi rami della scienza e dell'arte essa deve possedere la conoscenza necessaria per parlarne con intelligenza e con senno anche quando queste non sono professate. La donna deve essere versata in letteratura, aver conoscenza di belle arti, essere esperta nella danza e nell'arte del vestire, saper evitare non meno ciò da cui si può supporre vanità e leggerezza, che quanto palesa mancanza di gusto. Il suo conversare, serio e faceto, dev'essere adatto alla convenienza de' casi, essa non deve mai parlare ad alta voce e con iscostumatezza, nè con malizia ed in modo da offendere, deve corrisponspondere alla sua condizione con modestia e con modi convenienti, a cui è obbligata, verso quelli che costituiscono abitualmente la sua compagnia. Nel suo presentarsi e nel contegno sia aggraziata senz'affettazione. Le sue qualità morali, l'onestà e le virtù domestiche devono essere d'accordo con le intellettuali. Debb'esser casta, ma cortese: arguta ma discreta; ad ogni parola libera non dee fare un volto troppo severo. Sappia governar la casa e la sostanza e guidar l'educazione de' figliuoli. Non tenti d'imitar l'uomo negli esercizi del corpo, che a lui sono adatti ed a lui si richieggono. In tutto il suo essere, nel portamento, nell'andare e stare, nel parlare, mostri grazia, dolcezza femminile e non rassomigli all'uomo».

E questi ammaestramenti seguirono donne d'illustre casata, quali Eleonora d'Aragona, Isabella d'Este, Ippolita Sforza, Elisabetta Gonzaga, e delle città ove l'elemento borghese ottenne spesso la supremazia ed il potere, resta il ricordo di Antonia Di Pulci e Lorenza Tornabuoni.
L'ambiente elevato e colto nel quale visse la cortigiana nel cinquecento non poteva non influire su di essa e spingerla a gareggiare con le donne oneste, spesso coltissime; troviamo infatti in tutte le nostre storie letterarie, vicino ai nomi di quelle due grandi che furono Vittoria Colonna e Veronica Gambara, due cortigiane: Veronica Franco e Tullia d'Aragona; e se tra loro molto lungi per costumi, non certo per meriti letterarii. Data questa coltura nella donna onesta doveva alla cortigiana richiedersi necessariamente di esserle pari se non superiore, avere vivace ingegno, voce bella e gradita, essere esperta nel suono e nella danza, maestra insomma in tutte quelle arti che, bramate o volute, erano poi, strano a considerarsi, altamente biasimate da uomini come l'Aretino e il Garzoni, che definiscono tali doti atte solo a sedurre ed attrarre.

«Onde pensi che nascano i canti, i suoni, i balli, i giuochi, le feste, le vegghie, i concerti, i diporti loro, se non da quell'intento di aver l'applauso, il commercio, il concorso della turba infelice di questi amanti, che rapiti da quelle voci angeliche e soprane, attratte da quei suoni divini di arpicordi e lauti, impazziti in quei moti e in quei giri loro tanto attrattivi, consumati in quei giuochi sfarzevoli, rilegrati in quelle feste giulive, addormentati in quelle vegghie pellegrine, immersi in quei conviti di Venere, di Bacco, morti nel mezzo di quei soavi diporti, restino prigioni e servi del lor fallace ed insidioso amore?»

La cortigiana apparve in Roma alcuni anni prima del 1500 e come tale è ufficialmente, se così è lecito dire, riconosciuta in documenti autentici della curia papale. In un censimento compilato d'ordine della suprema autorità di Roma, redatto certamente nel settennio corso dal 1511 al 1518, ove trovansi numerate case, botteghe, proprietari ed inquilini, e di tutti o quasi tutti si nota la patria, condizione ed arte, le cortigiane sono notate in numero esorbitante, spagnuole e veneziane in massima parte, e distinte in cortesane honeste, cortesane putane, cortesane da candella, da lume, e de la minor sorte. Una sola volta, e forse senza alcuna malizia, il compilatore della statistica dimentica l'aridità del suo lavoro e nota: «La casa di Leonardo Bertini habita Madonna Smeralda cura 3 figlie piacevoli cortegiane».

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Malgrado tutto ciò la cortigiana del cinquecento era pur sempre quella del medio evo: tolta dall'ambiente che l'avvinceva, costringendola a piegarsi al rinascimento classico, rimaneva di essa la donna nella quale si alternavano tutti quei bassi sentimenti che erano diretta conseguenza della vita che conduceva. Però qualche barlume di affetto vero, potente, trovasi pur nella storia della cortigianeria: il Molza ed il Bandello non erano alieni dal credere che la cortigiana potesse veramente amare, noi, più scettici, crediamo con riserva a questo amore che poteva esser cagionato da interessi troppo palesi e reali, dubitiamo che la cortigiana avesse il cuore al di sopra della ragione, mentre accettiamo senza dubbio alcuno il fatto che nella prostituta di più bassa specie si rinvenisse l'amore nelle più forti sue manifestazioni. È questo un fatto che si ripete continuamente anche ai nostri giorni, e se discutibile dal lato psicologico, non cessa per questo di essere men vero. Ricordasi l'Aragona innamorata del Varchi e del Manelli: Camilla pisana dello Strozzi; Marietta Mirtilla del Brocardo, ed una certa Medea che in morte di Ludovico dell'Armi veniva consolata per lettera dall'Aretino; ma vogliamo proprio credere sul serio all'amore ispirato alla cortigiana da letterati? Questi erano allora come adesso, e come forse disgraziatamente lo saranno sempre, più ricchi d'ingegno, di madrigali, di epistole che di quattrini, esaltavano le cortigiane, dedicavano loro libri e capitoli e col sacrificio dell'amor proprio ricambiavano i favori lor concessi: Antonio Brocardo scrisse un'orazione in lode loro, il Muzio, il Tasso, il Varchi esaltarono l'Aragona: il Molza, Beatrice spagnola: Michelangelo Buonarroti, Faustina Mancina: Niccolò Martelli l'onorata madonna Salterella; e le cortigiane si abbarbicavano a questi letterati perchè da essi dipendeva in massima parte la rinomanza loro. La Tullia d'Aragona è quella che nelle sue rime lascia maggiormente scorgere l'influenza dei letterati, sino a dubitare che alcune di esse siano opera del Varchi stesso, e dà in pari tempo la figura spiccata della strisciante cortigianeria che avviluppava anche allora i più minuscoli principi. L'antitesi è in Veronica Franco della quale daremo in breve le rime, divenute di meravigliosa rarità, desiderio ardente e inappagato di bibliofili senza numero, orgoglio di alcuni pochissimi più venturati: essa è l'incarnazione della donna libera del cinquecento ed è l'unica che canti liberamente i suoi amori: non s'informa a platonismo o castità irrisori, ama per amare e soddisfare i sensi, e i suoi liberi amplessi, dice il buon P. Giovanni degli Agostini «con tal'arte seppe dipingerli e con tal frase adornarli che servono agl'incauti di vigoroso solletico alla concupiscenza». Tale non può essere oggi il parere di coloro che si occupano seriamente della nostra letteratura: ogni pagina, bella o brutta, sana o impura, che venga a chiarire la nostra rinascenza, non è che contributo a lavoro maggiore, e come tale spero vorrà essere accolta questa mia debole fatica.

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Edited by LadyAlexandra - 29/12/2007, 11:34
 
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