Storia di un Amore Mancato, Contro la violenza sui minori

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view post Posted on 9/6/2009, 14:31
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Libraia, Scrittrice e Promoter Culturale

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Dedico questo scritto a coloro che hanno vissuto la mia stessa esperienza, a quelli che non contano fino a dieci prima di alzare la cornetta e denunciare un misfatto. Ma vorrei parlare anche ai cuori ottusi, alla coscienza di chi finge che la vita sia un vagone che sfila dritto, senza pesi clandestini all'interno. Non voglio fare la moralista. Non sono nessuno per accusare.
Vivo le mie emozioni appieno, sia esse negative o positive eppure...quando vedo che la gente sa e non parla per timore di una ritorsione, per menefreghismo, per semplice superficilità, mi sale il sangue agli occhi. E'più forte di me. Qualcuno ha avuto il coraggio di dirmi: fatti i fatti tuoi...lascia stare. Di che t'impicci?
Bhè...mi sono impicciata e non è stato facile subirne le conseguenze. Perchè le conseguenze fanno parte del gioco e delle sbucciature.
Tuttavia, so che un bimbo oggi vive più serenamente la sua vita e cammina per strada a testa alta, senza temere di scoprire nemici ad ogni vicolo.
Ho il cuore caldo. Vi basti questo.


STORIA DI UN AMORE MANCATO


Un grido tra i boschi.
"Erano vicini, troppo vicini.
Li sentivo respirare, arrancare, digrignare quando la preda si faceva succulenta e il tonfo degli scarponi rompeva l'aria in tanti minuscoli cocci.
Cercavano me.
Avevano sparato due colpi dritti, verso i cespugli a ovest.
Se fossi rimasto lì ancora un minuto sarei crepato, in un lago di sangue.
Ma uno della mia razza non poteva permettersi il lusso di oziare, di avere paura.

Correvo, correvo, correvo.
Non sapevo dove mi avrebbe condotto l’istinto. Magari nel grembo dell'Africa, lontana dai giochi mortali dell’uomo.
E’ciò che sogniamo fin da cuccioli.
Una giostra di colori gialli e foglie verdi. Qualcosa di magico, capace di trasformare il cuore in un’orchestra tribale.

Correvo, correvo, correvo.
Saltando gli ostacoli, sbriciolando gl'insetti sotto di me.
Dovevo far presto e raggiungere la radura prima che sopraggiungesse la notte.
Prima che l'odore di polvere da sparo infettasse le mie narici e facesse scendere una cappa di fumo sull'intera savana.
Una zampata in avanti, un’altra ancora. Con lo sgomento appeso al collo e il biascichìo dei miei inseguitori sputato tra gli alberi.

Signore, perchè gli uomini quando gridano assomigliano alle bestie? Sembrano diavoli al banchetto, tra stoviglie sporche e piatti lesionati.
Fanno male alle orecchie e godono nel portarci via l'onore, la dignità, la pelliccia.
Correvo, correvo, correvo.
Sai dirmi da quanto corro, mio Signore?
Da quanti anni lecco da solo le mie ferite? Tu insegni che per ogni bimbo della terra c’è un angelo pronto a vegliare e che per ogni cucciolo della foresta c’è un padre leone pronto a difendere a ringhiate la vita del proprio figlio.
Dimmi, Signore, dov'è mio padre? Dov’è mia madre? Dove sono i miei fratelli?
Magari laggiù...? Tra i cacciatori che bestemmiano e vorrebbero farmi la pelle?

Correvo, correvo, correvo.
Mentre la fame, il caldo e il terrore mi schiumavano in bocca.
Potevo cedere da un momento all'altro.
Ero a pezzi.
Ma una voce nella mia testa continuava a ripetere che fermarmi sarebbe stato un suicidio. Che presto sarei giunto in un luogo incantevole, dove le farfalle danzano sul muso dei leoni e le telecamere mostrano i bimbi giocare in armonia con le serpi.
Dove non esistono fucili nè mute di cani bavosi.
Coraggio....ancora un salto....e sei fuori! Salta, piccolo Simba! !!! Salta!
Simba...quel nome sapeva di coccole.
Quelle che mi erano state negate. Quelle che avrei voluto ricevere dal giorno in cui un angelo mi parlò d'amore e di perdono.
In nome loro, decisi che avrei tentato il tutto per tutto.
Di nuovo una zampata, un salto...un affondo sul terreno...ancora un salto e all'improvviso...la luce!
La vidi tra il fogliame e mi sentii gonfiare dentro dalla gioia.

Correvo, correvo, correvo.
Più mi avvicinavo alla luce, più gli alberi si diradavano e i rami si aprivano al mio passaggio.
In lontananza udii l'ennesimo sparo.
L'ultimo che avrei udito nella mia esistenza.
Mi tuffai in avanti e fu come se non avessi mai avuto altro pensiero se non quello di amare e perdonare i miei persecutori.

A chi appartengo, mio Signore, se non a te che mi hai concepito?
Nacqui libero dal tuo palmo.
E libero voglio vivere.
E libero... voglio anche morire!"



(Dedicato a Leonardo P. In Ricordo dei mesi trascorsi insieme. Tvtb, piccolo mio)

A passeggio con i ricordi
Sono passati 4 anni da quando il Tribunale di Ginosa mi convocò in aula.
Avevo deciso di difendere un bambino dalle botte ed ero pronta ad affrontarne le conseguenze. Negative, positive...che importava?
Secondo alcuni avrei dovuto restare seduta a guardare perchè un bimbo in più sulla lista nera non faceva testo. - Non sarai tu a cambiare il mondo...Fidati! Questa storia ti porterà solo grane...
Ho sempre detestato l'ipocrisia degli adulti ma quel giorno, mentre nell'aula sibilavano a turno le voci degli avvocati, decisi che stavo percorrendo la strada giusta, che non mi sarei fermata anche a costo di sbattere la faccia contro il muro.
Volevo urlare.
I miei occhi avevano visto, le mie orecchie avevano udito.
E tutto ritornò a galla, come un treno merci senza portiera, che fila dritto sulle rotaie lasciandoti il tempo di sentirti male dinnanzi alle facce distrutte dei deportati.
Seguivo Leonardo al doposcuola, in un garage messo a disposizione dalla mia amica.
Abitando lontano dal centro del paese, dovevo spostarmi di continuo e restare tappata dalle 3 del pomeriggio fino alle 18:00 in quel locale poco illuminato e freddo.
Si battevano i denti e sognare una stufetta che ci scaldasse i piedi sotto il tavolo era tempo perso.
Il bambino somigliava ad uno scricciolo: magrolino, pallido, con i capelli arruffati, lo sguardo incavato. Non amava parlare, se ne stava zitto e curvo al suo posto ma tra un sorriso timido e qualche barretta di cioccolata, diventammo presto complici.
Lui era bisognoso d'amore ed io ne ero pregna. Poteva assurgerlo direttamente alla fonte, senza che mi svuotassi.
D'altronde, ce l'avevo scritto in faccia che morivo dalla voglia di coccolarlo.
Un pò spinto da me, un pò dalle necessità, Leonardo iniziò a raccontarmi della sua famiglia e sollevandosi timidamente il lembo della maglietta mi mostrò i lividi sulla pancia. Chiazze enormi e violacee, simili a fiori avvizziti. Segni inequivocabili di un calcio ricevuto in vicinanza...e non della solita, melodrammatica caduta dalle scale.
La madre, lo picchiava per svariate ragioni: se non voleva mangiare l'ultimo maccherone andato a male, se non voleva andare a lavorare in un bar malfamato, se piangeva perchè a scuola lo deridevano...
Lo picchiava e basta. Cominciava con uno scappellotto, proseguiva con due ceffoni e poi, quando il bambino dava segni di cedimento, ecco che la bestia saltava fuori e combinava macelli.
Gli propinava di tutto.
Violenza verbale, violenza fisica, insulti, sculacciate.
Talvolta gli stringeva forte le mani al collo e gridava ai quattro venti che per un pelo non era riuscita a mandare il figlio al cimitero.
- Ehhhh..ma la prossima volta lo caccio in una bara!!! Vedrete! -
Al bambino, gli si leggeva negli occhi il terrore.
Occhi neri, ormai seccati dalla rabbia, dall'impotenza.
Occhi che, nel profondo, vibravano d'amore e calore.
E'terribile soltanto pensare che un figlio sia costretto a scappare dai propri genitori.
Lei...una mezza isterica, malata di nervi.
Lui, il papà...abituato ad alzare il gomito nelle bettole.
Capitava spesso che, dopo una sonora lezione ricevuta dalla madre, rientrasse a casa il padre, zuppo di vino, e che, dopo aver sfogato sul figlio le proprie repressioni, lo trascinasse in cantina, gettandolo lì, al buio, a piangere.
Fa raccapricciare, lo so ma non si tratta di un film a buon mercato, di quelli che hanno la pellicola consunta perchè riproposta al grande pubblico un centinaio di volte.
E'vita vera.
E'la storia di un bambino, a cui venne strappata l'infanzia ancor prima che egli stesso ne carpisse il significato. Non aveva unghia per difendersi, non aveva canini affilati per mordere. Era in balìa della gente.
Una canna piantata in terra, da radici profondissime, costretta ad oscillare a seconda del vento e a sorbirsi le grandinate.
Se oggi riporto la mia testimonianza sul forum, è per dimostrare a coloro che mi leggono, fossero pure i miei nemici, che non mi pento di ciò che ho fatto. Che lo rifarei altre mille volte, che è da vigliacchi fingere di cambiare stazione radio e mettere un tappo alla coscienza.

Una vita a strappi
Io sognavo e un bambino soffriva.
Poi ho smesso con i miei castelli e mi sono scontrata con la realtà.
Ho visto. Ho provato lo stesso identico terrore.
Ho sentito uno squarcio dentro di me.
E tutti i sogni hanno preso il volo, cercando chissà quale rifugio, in attesa che potessi riacciuffarli e dar loro nuova linfa.
Crebbi all'improvviso. Non in altezza o in stazza.
Crebbi dall'interno e non mi sentii più mia.
Quando vedi qualcosa che non devi vedere, il mondo diventa una botola piena di chiaroscuri violenti.
Perlomeno è ciò che ho provato.
Stessa impotenza. Stesso disgusto. Stessa voglia di vomitare.
Oh, ma per me era più facile! Gli spettatori godono di altri privilegi. Non assaggiano sulla pelle le legnate. Ascoltano il dolore da lontano e piangono lacrime a distanza.
Non appartiene a te quel dolore, non appartengono a te quei lividi, non appartiene a te quel pudore rubato.
Lo spettatore resta intatto, con i vestiti addosso, i guanti impellicciati.
Soltanto il cuore si stringe.
Soltanto lo stomaco si scombussola.
- Che te ne frega!? Stanne fuori....non ti riguarda! -mi ripeteva l'amica ogni volta che scoppiavo di rabbia. - Non ti cacciare nei guai...fai come me...Faccio finta di non vedere...
- Bella roba! - brontolavo schifata. - Ti ho visto quando gli tiravi le orecchie perchè non volava studiare...! Solo che allora pensavo che il bambino fosse pigro, un caprone!
- E che dovevo fare? Quello non mi ascoltava! Se ne stava zitto e fissava il tavolo!!! Non potevo mica tenermelo in casa tutto il giorno!
Anche quelle giustifiche mi facevano venir voglia di vomitare.
Decisi che non potevo lavarmene le mani. Che avevo il sacrosanto diritto di far qualcosa per lui. Non sapevo ancora cosa.
Eppure dovevo tentare.
-Aiutami, ti prego...solo tu puoi...aiutami! - Non lo dimenticherò finchè campo. Leonardo mi prese le mani fra le sue e mi fissò con uno sguardo adorante, come se fossi la sua ancòra di salvezza.
Mi mangiai la lingua per non piangere con lui. Non era il caso di mostrarsi deboli.
La debolezza schianta.
Ed io dovevo essere forte, più forte della mia età. Dovevo superare i limiti del buonsenso, senza lasciarmi corrompere dagli ammonimenti della mia amica e di sua madre. Una bella accoppiata di coccodrilli capaci solo di starsene all'angolo e dire: "Poveretto...quanta pena mi fa...mi sento una fitta al cuore...poveretto...certe persone non dovrebbero diventare genitori.."
Cribbio! Se l'ipocrisia potesse avere dei connotati, avrebbe le loro facce e la loro lingua.
- Stai a posto tuo...quella gente è bacata...potrebbero prendersela con i tuoi!
Questo si...! Questo mi frenava. Non volevo coinvolgere i miei in un gioco che già per me aveva le dimensioni del labirinto di Dedalo.
Presi una boccata d'aria e mi sfogai in famiglia.
Dovevo dirlo a qualcuno che non ce la facevo a sopportare la vista di quelle botte.
Chi se ne fregava dei soldi? Preferivo i debiti all'indifferenza!
I debiti si sanano. L'infanzia no. O la vivi al momento opportuno o ti puoi scordare che esista.
- Che cosa hai deciso? Vuoi che interveniamo?
- No, mamma...tu e papà dovete starne fuori. Il bambino ha chiesto a me di aiutarlo...e sento che posso...che non mi manca il coraggio...- In quel momento piansi. - Oh! Se lo vedessi!!! E'un cucciolotto!!! E'talmente dimagrito nelle ultime settimane...non gli danno da mangiare per punirlo...e poi gli fanno fare troppe cose insieme! Scuola, doposcuola, ginnastica di correzione per la scogliosi, lavoro nel bar fino a tarda sera...! Ha solo dodici anni! E gli altri bambini non lo vogliono per giocare! Dicono che non si lava...che ha sempre i vestiti sporchi...che ha i genitori strani!
Ricordo il viso di mia madre mentre mi tergeva le lacrime con un fazzoletto. Tradiva sconcerto, dolore.
Da allora, ogni pomeriggio, mi preparava un cestino, come a scuola. Panini farciti con salame o marmellata, focaccia, frutta. Tutto per lui.
E il bambino divorava tutto, lasciando trasparire dalla violenza dei morsi la fame latente. Verso le 17, correvo nel supermercato vicino e gli compravo una stecca di cioccolata, in modo che avesse zuccheri a sufficienza.
In famiglia non navigavo nell'oro ma cercavamo di adoperarci alla meglio.
Un giorno, mamma mi consegnò un giubbotto di mio fratello. Era nuovo, mai indossato. - Tuo fratello capirà...Potrà arrangiarsi con gli altri che ha nell'armadio... Ne fui felice.
E altrettanto lo fu il bambino quando lo ricevette. - Finalmente un giubbotto caldo! E pulitoooo!!!- Lo annusò, ispirandone il profumo. - Ora mi chiameranno per giocare e non dovrò più stare da solo!!!
Inaspettata la reazione della madre: - Senti tu! Visto che vuoi così bene a mio figlio...domani vai a scuola...e dì al preside che i ragazzini non me lo prendono a mazzate! - Dal tono appariva dolente e lo sguardo era dispiaciuto sul serio. - L'altro giorno gli hanno rotto una penna nello zaino e l'inchiostro ha macchiato tutti i quaderni...! Povero figlio mio...perchè me lo trattano così?



Sul bordo del precipizio
Forse quella stramba signora era davvero malata di cervello. Diceva cose assurde, si commuoveva ed aveva atteggiamenti che non sempre collimavano con i suoi propositi.
Andai dal Preside e gli sventolai un bel discorso infiocchettato.
Non appena udì il nome della signora, allampanò lo sguardo, fissandomi come se avessi commesso un'eresia. Poi, ciondolò il capo, deviando la mia attenzione sulla famiglia del bambino. - Se a casa riceve un simile trattamento...come può la madre chiedervi di venire qui a chiedere di proteggere suo figlio? Con che coraggio?
- E con che coraggio quelli che lei definisce bambini picchiano un loro coetaneo? Con che coraggio lo offendono? Siccome la madre gli dà le botte...anche gli altri devono sentirsi in diritto di fare altrettanto? La scuola non tutela l'alunno? Ormai il bambino ha paura di metterci piede...l'altro giorno l'hanno usato a mò di bersaglio per il lancio delle pietre...Se ne rende conto?
Ero esplosa.
Mi sentivo il sangue appallottolato nelle vene, il respiro che mi usciva a mozziconi dal naso.
Il preside mi osservò, sospirando sulla sua poltroncina. - Non possiamo avere il monopolio di tutti gli alunni...al massimo possiamo chiedere all'insegnante che ha più ore di lezione di stare attento...soprattutto quando i ragazzi vanno nei bagni...
L'ennesimo ben servito.
Con quella spiegazione sperava di essersela cavata alla grande.
Uscii dalla scuola con l'anima in subbuglio.
Accidentaccio...! Avrei voluto avere la mano grande di mio padre per prendere a ceffoni tutti i ragazzacci che ti fissavano dall'alto in basso, con aria strafottente. Quel bambino aveva messo a nudo le proprie emozioni davanti a me, confidando nel mio aiuto ed io, dinnanzi alle sue tragedie, mi sentivo piccola piccola.

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Mi presentai al parroco della mia Chiesa e lui mi diede appuntamento nel pomeriggio.
Stavo ingranando, finalmente.
Fatto stà che la mia amica rifiutò di accompagnarmi dopo aver promesso il contrario. - Non mi va di entrare in questa storia...vacci da sola..."
Ok...non me lo feci ripetere un'altra volta. Ero abituata a sbrigarmela da sola ma provai ribrezzo per lei, per l'ipocrisia che leggevo nel suo volto, in quello di sua madre. L'unica cosa che riuscivano a ripetere era quell'insulso aggettivo: poveretto...mi fa pena...
Non avevo chiesto loro di appoggiarmi e gridarlo al mondo intero.
Non intendevo armare uno scandalo.
Eppure mi voltarono le spalle sul più bello.
In Chiesa, parlai con alcuni rappresentanti del Centro Aiuto alla vita, chiedendo per favore di farmi agire nell'anonimato onde evitare che la parte accusata si scagliasse contro la mia famiglia.

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La mia amica decise che era giunto il momento di tagliare il cordone ombelicale che mi legava al bambino inventandosi una scusa: - Mio padre dice che fate troppo chiasso e non vuole più che i bambini stiano in garage…Mi spiace ma devi andartene…
Cercai di prendere in mano la situazione: - Parlo io con tuo padre…vedrai che capirà…Ho bisogno di questo lavoro, lo sai…
- No…meglio non metterlo in mezzo a queste cose…lo sai che diventa una furia…
Mi ritrovai sola, senza un cane che mi aiutasse. In cuor mio non ho mai creduto a quella versione. Il padre della mia amica mi voleva bene, ci conoscevamo da 15 anni…non potevo pensare che avesse preferito mandarmi a casa solo perché i bambini strillavano di sotto, tra una lezione e un 5 minuti di pausa. Non ebbi la possibilità di parlargli perché madre e figlia innalzarono una specie di barriera, impedendomi di oltrepassarla.
Dovevo capire allora che l’amica della quale ciecamente mi fidavo era una piccola serpe e che sua madre l'aveva covata in seno per benino. Non mi frega una cippa se capitano su questo forum e cacciano gli occhi fuori dalle orbite. Entrambe sono così abituate a malignare da non accorgersi di quanta immondizia si trascinino dietro.
Magari si renderanno conto di come si siano ridotte, magari mi bestemmieranno.
Lo ripeteva il vecchio Dante: non ti curar di loro...ma guarda e passa.
Ed io modestamente...passo!

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L'ultimo giorno di doposcuola, il bambino mi fissò come se avessi perso l'intera battaglia, senza sapere che avevo già iniziato ad affilare le armi.
Fu proprio quel pomeriggio che, studiando lo sfruttamento minorile durante la rivoluzione industriale, lui disse : -E' quello che fa mamma...mi sfrutta...e si piglia tutti i soldi...

Nemmeno a farlo apposta, la signora si materializzò nel locale facendo ombra con i suoi capelloni ricci e la corporatura robusta.
- Ti stanno aspettando al bar...Spicciati!
- Devo studiare...
- Sono già le 6:00. Chiudi quel libro e vieni via.
- No. VOGLIO studiare...- ripetè Leonardo più convinto.
La signora sbuffò. - A che ti serve? Hai la testa bacata!- Gli afferrò un braccio per strattonarlo. - Su, alzati! Al bar c'è da fare!
Il bambino scosse il capo, provando a liberarsi dalla stretta: - Te lo scordi il bar. Tu mi sfrutti! L'ho letto anche sul libro!
Oddio...è una scena che non scorderò mai.
La donna si avventò sul bambino, gli bloccò la testa fra le mani e gli piantò i denti nel cranio.
Provai a sganciarla, ma la follia la rendeva forte e massiccia.
Il bambino gridava, accucciandosi sul libro.
A quel punto, venni colta dal panico, dall'orrore.
Non ci vidi più e gridai anch'io. "Smettila! Così l'ammazzi!!!"
- Magari e morisse! Perchè non so che farmene di uno scemo come lui!!!
E giù altri morsi.
Mi accavallai sui due corpi, provando a tirarla via ma lei mi diede uno spintone con un braccio, facendomi sbattere a bordo tavolo. Prese una scopa dal secchio vicino al tavolo e subito le sue intenzioni mi apparvero chiare.
Non ricordo in che modo riuscii a sganciarla dal mio Simba: urlando, tirando, beccandomi una mazzata al suo posto. La sganciai e basta e quello fu già un miracolo. Il bambino singhiozzava, sempre accucciato sul suo libro, tenendosi le braccia sul viso quasi si vergognasse.
Ho letto sempre la vergogna sul volto di Leonardo.
Si sentiva un diverso, un emarginato.
A casa non avevano la caldaia e gelava di freddo fino a farsi la pipì addosso.
In più, quella sconsiderata della madre gli negava il pasto a mezzogiorno quando faceva i capricci perchè non voleva andare a lavorare.
- Perchè non te lo prendi tu? - mi propose la signora quando le acque si calmarono ed offrii al bambino una lunga stecca di cioccolata.
- E'tuo figlio - le ricordai.
- Per me è un peso...lo vedi...non si sa difendere...non sa parlare....è un maleducato...si lamenta in continuazione...e poi è un deficiente...un handicappato! La voce di quella donna rasentava il disprezzo.
Avrei potuto scegliere di compatirla…perché a suo modo era malata anche lei o punirla come si meritava, eppure l’affetto che mi legava al bambino mi rendeva così vulnerabile da farmi restare in sospensione tra ciò che è bene e ciò che è male.
- Addio…- mi sussurrò Leonardo avviandosi alla porta.
- Ciao, piccolo Simba…vienimi a trovare qualche volta, eh? - Gli diedi un buffetto sulla guancia scarna e gli sorrisi.
Non ci rivedemmo più.
Chissà…il fatto di non potergli dire che mi stavo muovendo per lui l’aveva reso diffidente anche nei miei riguardi. Ero stata costretta a tacere per evitare che si lasciasse sfuggire qualcosa con i familiari prima che la nave con tutto il carico andasse in porto.
Dopo poche settimane, scoprii che erano intervenuti quelli del telefono azzurro. Il bimbo stesso aveva deciso di farsi valere, alzando la cornetta e parlando loro della situazione. Immediato l'intervento dell'ufficio Minori della Questura tarantina.
Ovviamente gli assistenti sociali vagliarono a lungo le sue amicizie, i luoghi solitamente frequentati dal padre e della madre, filarono dritti a casa della mia amica e lei altrettanto di filato li scaricò a me come una patata bollente.
Mi presi le mie responsabilità e non feci caso a coloro che mi suggerivano di mentire, di negare e di starne fuori.
Dissi tutto ciò che avevo visto, senza esitare…convincendomi che se il bambino fosse stato allontanato dai genitori violenti quanto mai avrebbe avuta salva la vita.
Il tribunale dei minori di Taranto, ascoltando le varie dichiarazioni della vittima decise di affidarlo alle cure di un'assistente sociale, a Taranto. Lì, il bambino poteva continuare a studiare, veniva curato, lavato, pettinato, vestito.
La madre piangeva da mattino a sera maledicendo chi aveva osato testimoniare contro di lei pur senza conoscerne l’identità.
La mia amica e sua madre mi rimpinzarono di rimproveri: - Hai visto cos’hai fatto? Hai separato una madre da un figlio…Non ti senti in colpa?
Fu come ricevere una bastonata al buio, con l'unica differenza che conoscevo l'identità dei miei due Caini. Mi ferirono in profondità ma non lo diedi a vedere. Ero troppo concentrata sul futuro del bambino, sulla possibilità che almeno per lui ci potesse essere un domani radioso, privo di ceffoni e cantine buie.

<p align="justify">Allo Scoperto
La bomba scoppiò quando, il 5 luglio del 2004, mi citarono in udienza, presso il Tribunale di Ginosa, Giudice Monocratico, per rispondere dei reati esposti all'epigrafe. Ero l’unica dei test che aveva visto e dichiarato qualcosa di scottante. L’unica che potesse avvalorare le accuse del minorenne.
Non intendevo ritrattare né fare l’evasiva.
La madre del bambino, leggendo il mio nome sulla notifica del decreto venne a cercarmi nel panificio dove lavoravo, decisa a farmela pagare. Per fortuna non riuscì ad alzare un dito e si ritirò con la coda in mezzo alle gambe. - Se scopro che dietro a questa storia ci sei tu...te la faccio pagare!
Il giorno del processo, resi la mia deposizione.
Giurai e confermai quanto messo per iscritto.
L’avvocato difensore della controparte tentò in svariati modi di farmi crollare: - Signorina…ma i ceffoni si danno ai bambini quando fanno i capricci…Sono stati giusto quattro schiaffi….non si può parlare di violenza…
Io lo guardai lungamente. Lo sguardo del padre di Leonardo era duro, tipico di chi ha appena scoperto la gramigna che ha mandato a male il raccolto.
E la gramigna ero io.
Mi tremavano le ginocchia ma le mie labbra rimasero dritte: - Non è violenza mettere le mani al collo del proprio figlio e stringerlo così forte da lasciargli i lividi? Non è violenza gettarsi sulla testa del proprio bambino nel tentativo di prenderlo a morsi? Non è violenza afferrare la prima scopa che hai a portata di mano e riempire tuo figlio di botte? E non è violenza…prenderlo a calci in pancia o chiederlo in cantina senza farlo mangiare un giorno intero?
- Madonna mia...che mostro...- Il giudice si lasciò scappare un commento a denti stretti ma il microfono a giraffa che pendeva su di me lo captò.
L’altro avvocato fece spallucce e non osò andare oltre. Infondo difendeva il padre del bambino, non la madre e quando mi furono rivolte domande su di lui, risposi: - Non posso dichiarare ciò che non ho visto…
Così fu.
Il bambino entrò dopo di me ed io l'ascoltai attentamente, apprendendo con orrore che anche nel bar presso cui lavorava lo caricavano di botte come un somaro.
- Mi facevano prendere delle casse di birra talmente pesanti da farmi soffocare e mentre cercavo di rimetterle a posto, loro mi davano ceffoni gridandomi addosso che ero disubbidiente.
- Tua madre e tuoi padre lo sapevano?
- Si…erano loro che dicevano di picchiarmi se non avessi voluto lavorare.
- E come hai reagito quando i tuoi genitori hanno deciso che il tuo padrino di cresima dove essere il tuo...chiamiamolo così...datore di lavoro?
- Ho pianto…non volevo….lo odiavo quell’uomo…ma loro mi picchiarono ancora…e mi costrinsero ad accettarlo.
Ebbi la nausea e mi si strappò il cuore.
Che togliessero pure Leonardo alla famiglia! A quella madre e a quel padre scellerati! Non m'importava degli strepiti, della vendetta.
Volevo solo che il bambino stesse lontano dai suoi persecutori almeno fino a quando la maggiore età ed un bel po’ di muscoli gli avessero permesso di difendersi.

_____________________________

Non incontrai più il mio piccolo Simba da quel giorno in tribunale.
Altri due anni passarono. Avevo cambiato gli amici. Avevo cambiato lavoro.
La mia vetrina si affacciava in piazza, a pochi metri dal Comune. Spesso mi capitava di veder passare la madre del bambino con l'altro figlio al guinzaglio.
- Ah...eccola...! E'quella la puttana che mi ha portato via mio figlio...". E tirava fuori la lingua.
Cercai di non fare sangue amaro finchè anche il piccolo non si mise d'impegno ad insultarmi tutte le volte che attraversava lo spiazzo assieme ai suoi amici zingari e alla signora. - Porta male quella lì! E' cattiva!
- Davvero? - Gli amici, più grossi di me, se la sghignazzavano.
- E'una bastarda...- precisava lei, convinta che da quella distanza non potesse giungermi la sua imprecazione.
Mi fumarono le narici dalla rabbia. Uscii fuori dal negozio e la minacciai: - Se non la smetti, ti mando dritta dal giudice!!! Vuoi finire in gattabuia, eh? Stai attenta! Molto attenta...
Il gruppetto, con a capo l'imbestialita signora, se la svignò e d'allora le ingiurie scemarono, almeno quelle pubbliche.
A ottobre del 2008 mi venne recapitata la seconda notifica da parte del tribunale.
Il proprietario del bar, era stato accusato di falsa testimonianza e d’incontri segreti con l’imputato il giorno prima della causa. Avevano cercato di pianificare tutto per manipolare a loro favore la testimonianza di Leonardo.
Per fortuna erano stati scoperti e fotografati.
A inizio novembre, mi presentai in aula ma la causa venne rinviata al 12 febbraio dell’anno seguente.
Praticamente oggi.
Il copione non è cambiato.
Il barista ha dato buca e il giudice di rappresentanza ci ha rimandati al 4 giugno, come gli scolari cattivelli.
Dicono faccia parte della procedura. Si allungano i tempi della giustizia finchè il reato cade in prescrizione e tutti vissero felici e contenti.
Il bambino è tornato dai suoi sebbene i genitori si guardino bene dal torcergli un capello.
Ha diciott’anni adesso.
Lo vedo passare spesso vicino alla libreria dove lavoro.
Ha la testa bassa ma un’aria determinata in viso.
Molti sostengono che abbia preso una brutta strada, che è un violento, addirittura uno sniffatore.
Non si ricorda di me. Mi guarda come un’ombra quando cerco di rivangare assieme a lui il periodo del doposcuola in garage.
Un po’ mi spiace che non sappia dei rischi che ho corso.
Ma non cerco la sua gratitudine.
Voglio solo che sia felice.
Gli auguro di trovare una fidanzatina che lo coccoli e che un giorno diventi un buon padre per i suoi figli.


12 febbraio 2008

Fuori dal tribunale, c’era una fila di studenti e tanta gente. Carabinieri piazzati nelle loro divise, avvocati che facevano sue e giù per le aule.
Chiasso.
Tanto chiasso.
Poi è arrivato il furgoncino blu della POLIZIA PENITENZIALE.
Un ragazzo di appena 18 anni, un mio paesano, col volto rasato e l'aria innocente, è stato calato giù da braccia nerborute.
Aveva le manette e un’accusa di spaccio di droga che gl'inzozzava la fedina.
Non so ancora spiegarmene il motivo ma davanti a quel visetto sconosciuto e al brusìo dei manifestanti mi sono sentita madre all'improvviso.
E ho pianto.

( Lady Alexandra )



NB: Aggiungo questa postilla in data odierna: 9 giugno 2009. Grazie a Dio, dopo una breve parentesi lorda, Leonardo ha trovato ospitalità presso una chiesa del mio paese e spesso mi viene a trovare in negozio...
Sta bene...e si scipglie quando qualcuno gli sorride. Non è cresciuto molto in altezza...è cambiato il suo viso...ora ha la barba...ma è rimasto lo stesso Simba bisognoso di coccole...



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Edited by Lady Alexandra - 10/6/2009, 17:43
 
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view post Posted on 10/6/2009, 13:15
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Pensavo di aver messo la mia vita in mano ad un amico...invece tu eri il mio carnefice!

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Sergio Assisi
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dal mondo dei guai !

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eccomi qui ho letto il tuo pezzo ,sono orgogliosa di aver trovato anke tramite uno schermo un amica come te ,ci vorrebbero cento mille anzi un infinita di persone come te ,da piccola ho sentito la storia di una bambina uccisa dai genitori quando mamma lavorava in ospedale è arrivata li con lividi e segni di sigarette spente sul piccolo corpicino e loro se ne erono usciti con scuse banali la piccola mori dopo poco ,e adesso leggere questa cosa mi fa venire in mente quel ricordo ,sono felice che la storia di questo Bimbo sia andata bene e che adesso possa vivere in maniera più soave la su giovinezza lontano da gentaglia che non merita di averlo accanto .Ci vorrebbero tante persone come te per cambiare un pò la vita a chi ha la sfortuna di nascere in mezzo a gente del genere ,un abbraccio a te e al tuo piccolo simba !
 
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*Lucyluna*
view post Posted on 10/6/2009, 16:00




Conoscevo questa storia, me l'avevi un po' raccontata, ma leggendola nei dettagli mi sono venuti i brividi. Sembra davvero, come hai scritto tu, un film e invece è la realtà. E' vero quando sentiamo storie simili al telegiornale ci indignamo per 5 minuti ma poi dimentichiamo dopo altrettanti 5 minuti. Non credo, invece, tu possa mai dimenticare ciò che hai visto e questo ragazzo. Però sono anch'io orgogliosa di avere un'amica come te che ha avuto il coraggio di fare ciò che in molti non avrebbero mai fatto.
 
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TerryTerry
view post Posted on 10/6/2009, 20:36




Ale lasciami dire che ti ammiro tantissimo per come hai gestito questa drammatica vicenda: non era facile, non e' mai facile superare le barriere della propria coscienza( o magari del timore) e denunciare quelle due bestie che si dicono"genitori"... perche' gente che maltratta dei bimbi innocenti non sono esseri umani, sono bestie!!! e bestie ancora piu' infami sono quelli che sanno ma non parlano, che vedono ma fanno finta di nulla. Tu hai fatto solo cio' che ciascuno degno di essere chiamato essere umano dovrebbe fare... e purtroppo gli esseri umani sono sempre piu' rari in questo mondo... e tu sei fra questi, sei una persona speciale.
 
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Meresank
view post Posted on 11/6/2009, 13:02




Tu hai scelto di vedere ,quando gli altri si sono girati dall altra parte posso capire che magari farsi gli affari proprii spesso viene utile anche per non mettersi nei guai perche' aime' certa gente e' imprevedibile quanto...... (e qui ci scappa la censura.) e magari puo' fare del male per ritorsione a qualcuno dei tuoi cari.Ma quando ce di mezzo un bambino rubato in questo modo allla sua innocenza,non ci si puo' assolutamente tirare indietro.Spero la vita inizi a mostrare a questo giovane uomo la sua altra faccia quella piu' pulita e serena.Gliene ha gia dato un piccolo spicchietto di luce quando ha avuto la fortuna di incontrarti.
 
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4 replies since 9/6/2009, 14:31   2779 views
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