Il commissario Nardone

« Older   Newer »
  Share  
Geric
view post Posted on 7/6/2014, 18:50




Recensioni della carta stampata e web su "Il commissario Nardone"

Paolino per Tvbog (6/9/2012)
C’era una volta la Milano che attendeva la ripresa, che viveva alla giornata e che si affidava a uomini pronti ad andare contro tutto e tutti pur di portare quel cambiamento tanto atteso e voluto. C’era una volta e c’è ancora, quella Milano raccontata da “Il commissario Nardone”, la fiction di Raiuno.
Quello che manca oggi è un personaggio coma Mario Nardone, capace di inventarsi in un clima ostile e nuovo la squadra Mobile, e di avvicinare le forze dell’ordine alla gente. Un commissario fuori dal coro, un perfetto personaggio per una serie tv, capace, se attivati i giusti stimoli, di evolversi in vicende professionali e non solo.
In questo, Sergio Assisi colpisce nel segno, portando in tv un Nardone nè troppo genio sregolato nè troppo macchietta dell’uomo del Sud alle prese con il Settentrione a la “Benvenuti al Nord”. E’ un protagonista che, nonostante venga presentato nelle sue caratteristiche principali fin dai primi minuti, sembra avere molto da dire. E con la Milano di Nardone, anche il pubblico televisivo spera di aver trovato una fiction che s’interessi anche di un’evoluzione sensata dei personaggi.
Ciascun membro della Mobile, in effetti, ha qualcosa da dire, uno scheletro nell’armadio, una storyline pronta a dipanarsi nel corso degli episodi: l’attenzione si è così focalizzata su di loro che i casi di puntata potrebbero diventare superflui, o quantomeno corollari alla curiosità del pubblico di sapere cosa faranno Muraro & Co.
E così, di fronte a delle storie con qualche buco narrativo e con poco pathos, a diventare interessanti sono i protagonisti, nella loro evoluzione sia da individui che all’interno della Mobile stessa. Merito anche di un cast di livello, non urlato nè troppo attento agli sguardi da primo piano. Umilmente, il gruppo cerca di entrare nelle grazie del spettatore, prima che l’indagine prenda il sopravvento. Ma questo, non accade mai: un peccato, perchè con le storie giuste il cast avrebbe potuto esaltare meglio il proprio ruolo, facilitando l’interesse del pubblico.
Il senso de “Il commissario Nardone” vuole essere questo: non un poliziesco fatto di inseguimenti e lieti fine, ma un racconto ragionato della nascita di un’amicizia basata sui valori della giustizia e dell’etica professionale. Anche questo, può aiutare una Milano simbolo di un’Italia stanca -ma pronta a rialzarsi- a tornare a sperare.

Alessandra Comazzi su La Stampa (8/9/2012)
Lo «specifico televisivo», si diceva una volta. E sì, lo specifico televisivo è la fiction, la vita sceneggiata. Intanto perché anche in Italia (non stiamo sempre a fare gli americanofili)
è il genere normalmente fatto meglio, non c’è storia per reality, talent, talk e tante altre parole inglesi. Quella è la forza della tv, che non finirà con i cambiamenti tecnologici: tanto che si stanno realizzando fior di serie studiate apposta per il web. A questo pensavo seguendo su Raiuno la prima puntata di «Il commissario Nardone». Siamo nel 1947, il protagonista è Sergio Assisi, commissario napoletano irruente intemperante intelligente integerrimo, trasferito a Milano dove subito irrita il questore Castellano. Perché, al primo caso, viene immediatamente meno al detto latino «quieta non movère», e altroché se le smuove, le acque. Arrestando poliziotti corrotti che rubavano penicillina per venderla al mercato nero. Lui vuole la scientifica, vuole una lavagna, vuole una squadra, e insomma applica la moderna criminologia agli Anni ’40. Bravo Assisi ma non soltanto, scorrevoli le storie. Peccato quando vogliono fare l’accento lombardo e non riescono o, peggio, sbagliano le parole. Quando non siete sicuri, per favore, parlate italiano.

Mirella Poggialini su L'Avvenire (8/9/2012)
Ormai pochi ricordano il volto del commissario Nardone, che nel dopoguerra a Milano firmò inchieste ancora memorabili: e forse questo ha giovato all'accoglienza riservata dal pubblico di Rai1 alla prima delle sei puntate di Il commissario Nardone (giovedì in prima serata) in cui Sergio Assisi non ha dovuto subire il pericoloso confronto, inevitabile nelle fiction biografiche, con l'immagine reale del personaggio.
Ne è risultata un'interpretazione vivace e controllata, un ritratto acuto ma non insistito di un uomo e di un professionista colto nelle sue sfaccettature fra privato e pubblico. Ironico ma non troppo, meridionale ma senza eccessi di tratto, Assisi è apparso credibile e umano, sullo sfondo di una Milano nebbiosa e povera in cui gli echi della guerra erano ancora forti. Ambientazione e costumi ben resi, una sceneggiatura che evita inserti dialettali di facile effetto, per raccontare – anticipando la voga attuale – un poliziotto tenace e intuitivo, dinamico e attento, posto di fronte, con pochi mezzi, alle difficoltà create da una malavita già desta e pericolosa.
La storia si svolge secondo gli schemi del noir francese e i tocchi vivaci della commedia, il colore si stempera in un gioco di ombre che evoca un passato ormai remoto. I personaggi si ritagliano un'evidenza rievocativa che incuriosisce – tutti gli uomini con il cappello, chi se li ricorda? – le vicende non sono epiche ma assumono una dimensione di cronaca, la narrazione, firmata da Fabrizio Costa, scorre facilmente e lo spettatore segue, senza il brivido delle attuali ricostruzioni virate al macabro, ma con il senso di uno spettacolo che richiama schemi classici e ritmi ben resi.

Massimo Tosti su Italia Oggi (8/9/2012)
La ricostruzione della Milano del dopoguerra e del boom economico è accurata e senza smagliature. Il protagonista è forse più guappo dell'originale ma nella finzione drammaturgica ci sta di accentuare le caratteristiche di un uomo del Sud che ripete spesso che i milanesi non sanno fare il caffè. La messa in scena è curata così come è efficace il contrasto tra le due donne.

Antonio Dipollina su Repubblica (22/9/2012)
I commissari in tv alla fine si somigliano tutti. Ma c'è un certo gusto nella resa in fiction del Commissario Nardone, interpretato da Sergio Assisi e liberamente ispirato al poliziotto realmente esistito negli anni 50 a Milano, creatore della Squadra Mobile dopo un trasferimento e avvio di carriera in cui sconta la provenienza meridionale abbinandola a una tigna pressochè locale. La serie risente degli artifici oggi obbligatori - la Milano appiccicata alle riprese vere e proprie - ma cattura nel riportare episodi reali, tenendosi stretti comunque il lato sentimentale, i superiori contro ma poi redenti e così via. Nel momento in cui si inizia a discutere pesantemente su quanto debba rinnovarsi Rai1, la differenza è sempre tra prodotti dignitosi e scelte incomprensibili. Quel pubblico che definiscono decotto dagli anni e dalle abitudini ha solo bisogno, e lo merita, di avere proposte di livello, anche appena appena.

Platinette per Dipiù (15/9/2012)
Sergio Assisi, nei panni di un commissario di polizia, nato nell'Avellinese e realmente esistito, si rivela subito un ottimo primattore, un personaggio destinato a riempire la scena, con una forte versatilità, che spazia dal comico al serio o serioso.

Bruno Vecchi per Vero (27/9/2012)
La Polizia, in televisione, indaga in ogni palinsesto. Agli autori de Il commissario Nardone il merito di aver costruito un personaggio diverso dai soliti stereotipi. E di vaer scelto un'ambientazione non scontata nè banale: Milano nell'immediato dopoguerra. Con annessi e connessi che lasciano spazio anche a riflessioni sociali. Bravo Sergio Assisi, che mette un pò di passione nella recitazione.

Mariano Sabatino su Televisionando (10/10/2012)
I commissari sono tanti, milioni di milioni… Tra romanzi gialli e serial televisivi le figure di investigatori sovrabbondano, per la gioia di chi – e mi arruolo nell’esercito – è ghiotto di questo fortunato genere narrativo. Prima di Montalbano, nato dalla tastiera di Andrea Camilleri, c’erano, solo per citare i più famosi, Maigret di Simenon con l’immenso Gino Cervi e il tenente Sheridan, Ubaldo Lay. Mi fa piacere, a consuntivo perché ieri sera è andato in onda su RaiUno l’ultimo appuntamento, applaudire alla scelta di proporre la serie del Commissario Nardone, che abbiamo appreso dallo sceneggiatore essere realmente esistito. Morì nel 1986, rimase in servizio fino agli anni Sessanta e risolse i casi di Rina Fort e della banda di via Osoppo; su Youtube è visibile una sua intervista con Enzo Biagi.
“Lui il crimine lo annusa per aria come i tartufi”, dice la voce narrante del telefilm, sceneggiato tra gli altri da Andrea Purgatori, per la regia di Fabrizio Costa. Una produzione pregevole sotto molti punti di vista, innanzi tutto per la realizzazione, l’ambientazione d’antan, la fotografia quasi virata in seppia, i costumi curatissimi. Lontani dalle solite figurine poco convincenti delle fiction in circolazione, i personaggi sono ben serviti dalla recitazione di tanti bravi attori: Franco Castellano, Stefano Dionisi, Luigi Di Fiore. Nardone è Sergio Assisi, che finora non aveva avuto occasioni di così ampio rilievo, in una riuscita miscela di strafottenza e simpatia tutte napoletane, non disgiunte da una proficua passione per il mestiere dell’investigazione, portata fino alle estreme conseguenze dell’ossessione, con tutte le compromissioni personali immaginabili.

Pino Farinotti su MyMovies (7/10/2012)
Torno a occuparmi di fiction televisiva, italiana. Lo faccio quando rintraccio qualcosa di buono. Dunque raramente. Ma Il commissario Nardone è un ottimo prodotto, per molti versi. Comincio da un tema che mi sta a cuore, l'eroe. Nell'era contemporanea ce ne siamo dimenticati. Nardone, anche se nella fiction è, legittimamente, un po' "romanzato", tuttavia nella sua epoca, fra gli anni quaranta e i sessanta fu quella che si diceva un'"istituzione milanese", lui campano, soprattutto fu un grande poliziotto, fiction o non fiction. Ricordo, verso la metà degli anni ottanta un'intervista che gli fece Biagi, profonda e aperta, diretta e sincera, com'era quell'uomo. Parlò di tutto, e sapeva come usare le parole e i concetti, spiegare differenze fra i criminali e terroristi, fra collaboratori e pentiti, fra i metodi di indagine. Fece confronti fra le polizie di altri Paesi. Quando Biagi gli domandò a quale modello di indagine si sentisse più vicino il poliziotto, senza esitazione, disse, "ai francesi". E così avallò a priori la definizione di questi giorni che lo riguarda, il Maigret italiano. E non è un concetto così improprio. Ci può senz'altro stare.
Da milanese non posso non avere famigliarità con quel personaggio, in casa se ne parlava, come in tutte le case. Ma mio padre Dante aveva una sua ragione personale. E avrò sentito un suo racconto un centinaio di volte, ed è un numero per difetto.
Mario Nardone era arrivato a Milano appena dopo la guerra. Organizzò la famosa squadra, come mostra la fiction, i fedelissimi erano Rizzo, Muraro, Spitz e Suderghi. Fra i casi clamorosi, direi storici, da lui risolti c'è quello della famosa belva di San Gregorio, Rina Fort, che uccise la moglie del suo amante, incinta, e i suoi tre bambini. E poi l' impresa dell'arresto della famigerata banda di via Osoppo. E altre azioni a non finire. Il commissario riformò la polizia istituendo la Squadra mobile. Morì per il cancro, nel 1986, aveva 71 anni.
Sergio Assisi dà corpo e volto al commissario. La performance dell'attore è di alto livello: Mario era certo meno aitante e forse meno alto di Sergio. L'umanità trasmessa è autentica, così come l'empatia meridionale. È vero che Nardone non ebbe mai un grande rapporto col dialetto milanese. Una difficoltà moltiplicata per Assisi che si è trovato a fronteggiare un gergo televisivo di maniera, ridicolo e impossibile. Lo dico da milanese. Quando si tratta di romanesco tutto fila perfettamente, quando c'è di mezzo il milanese, dialetto e cadenza, le produzioni non riescono mai a sciogliere il nodo. Ma la serie ne risente appena. Del resto la fiction è la casa delle licenze. Da cinefilo ne ho colta una che sarebbe clamorosa ma è persino simpatica: la fidanzata di Mario, abbandonata sui due piedi, va al cinema da sola. Il suo compagno è chiamato a interrogare Rina Fort, siamo nel 1946 e la ragazza si infila in una sala dove fanno La notte, di Antonioni, del ... 1960. L'ho detto, licenza simpatica e niente di compromesso, naturalmente.
Dicevo della ragione personale di mio padre Dante. Possedeva una gioielleria in Corso di Porta Ticinese. Una volta si vide arrivare il commissario che gli disse di essere informato di una possibile rapina, notturna, nel negozio. Aggiunse che l'informazione poteva essere attendibile, che due volanti avrebbero stazionato in zona pronte a intervenire e che un uomo della squadra avrebbe passato la notte nel retro. Invitò mio padre -sto sempre al suo racconto- a tornare a casa, certo non poteva imporglielo. Il Dante gli disse che il negozio era suo e sarebbe rimasto e poi, aggiunse "ho fatto la guerra, ed ero tiratore scelto." Alla fine non successe niente. Era un falso allarme. Ma qualche giorno dopo mio padre andò in via Poma, sede della caserma di Nardone, con un pacchetto per il commissario. Dentro c'era un Longines d'oro. Il comandante sorrise, strinse la mano a mio padre e gli disse "molto gentile... come se lo avessi accettato, accetterò invece di buon grado un aperitivo quando passerò in Corso Ticinese." A pochi metri dal negozio c'era il Bar Italia, un ritrovo antico. Nardone passò per l'aperitivo. Il bar Italia mostrava su una parete fotografie di visitatori speciali, Benito Lorenzi, Achille Togliani, Tiberio Mitri, Wanda Osiris, Walter Chiari, fra gli altri. E Mario Nardone. Il bar c'è ancora, è diventato un Happy hour, sulle pareti ci sono altre immagini. Ricordando quella notte passata col poliziotto, il Dante diceva "beveva con piacere, e parlava volentieri di donne". Mi piace immaginare che quel poliziotto fosse Rizzo, il bello della squadra.
Nella fiction la ricostruzione è dolce e nostalgica, ci sono le macchine, le Fiat Millecento e Milleotto e la sportiva Alfa Millenove, di una sono riuscito a leggere i primi due numeri della targa MI 22.... E poi quegli impermeabili secondo Bogart o, più modestamente secondo Sheridan. E i borsalini grigi, le insegne e gli aperitivi di allora. E poi l'assenza, benedetta, dei computer e delle telecamere che tutto risolvono. Nardone e i suoi devono camminare, e bussare alle porte. E spulciare della gran carta. Si riuniscono nell'ufficio del capo e ciascuno dice la sua, mettono a fuoco i fatti, i caratteri, i moventi. Detective all'antica, certo. E lì davvero ricordano il gruppo di Maigret. Nardone interroga un colpevole, ormai accertato, magari una donna, e sempre prevale l'indulgenza e la comprensione. Odia gli sfruttatori, i magnaccia, quelli sì. Non gli dispiace frequentare i locali, dove non accetta mai di non pagare. Si vale di un'informatrice credibile, l'attrice è Anna Safroncik, bella e inquietante, un elemento in più, di sicuro successo delle fiction, basti pensare alla Aurora delle Tre rose di Eva. Gli autori hanno depennato l'appuntato scemo che c'è in tutte le fiction poliziesche, quello che arriva con la pastasciutta e porta via dieci minuti inutili della puntata, non ci sono trans e immigrati a capo dei racket. In quegli anni non c'erano ancora.
Nardone: una storia vera, raccontata con le giuste licenze. Bello.
 
Top
199 replies since 3/1/2010, 13:27   7378 views
  Share